Comunali e referendum, il vero sconfitto è Salvini
Com’era facile prevedere, i referendum sulla Giustizia sono stati decapitati dalla tagliola del “quorum” e si sono risolti in un fallimento anche per chi ci aveva messo la faccia, Matteo Salvini in primis. Il Capitano leghista, poi, ha dovuto subire anche un drastico ridimensionamento del suo partito alle Comunali e ormai è chiaro a tutti che, in virtù delle preferenze espresse dagli elettori, Giorgia Meloni è la leader di quello schieramento che ci ostiniamo a chiamare centrodestra, ma che, in realtà, di destra non ha proprio nulla. Dalle urne, dunque, emerge con chiarezza non un vincitore, ma uno sconfitto: Matteo Salvini.
La stessa Meloni, però, attendeva ben altre risposte e percentuali molto diverse: con questi numeri, da sola, non andrà da nessuna parte, come ha dimostrato in quelle città (Viterbo docet) in cui ha avuto la presunzione di candidare a sindaco un esponente di Fratelli d’Italia, senza l’appoggio di Lega o Forza Italia o di entrambe. I “fratellini”, infatti, non vanno mai oltre il 22/23 per cento e, in molti casi, si attestano tra il 13 e il 16%: un risultato ottimo, per un partito che pochi anni fa non esisteva nemmeno, ma che non consente grandi voli di fantasia.
Lega, Forza Italia e i Fratelli meloniani, insomma, sono obbligati a stare insieme, se davvero nel 2023 vorranno provare a vincere le elezioni politiche. Impresa possibile, visto lo sfacelo del Movimento 5Stelle, che sembra una zavorra, più che un aiuto per il Pd di Enrico Letta. Il cui “campo largo” ha dimostrato, in modo inequivocabile, di non reggere il confronto elettorale, soprattutto se di questo campo fanno parte i grillini di Giuseppe Conte. Forse Enrico Letta, a questo punto, farebbe bene a scrollarsi di dosso i pentastellati e puntare, con concretezza, a un’alleanza con Azione di Calenda, che oggi appare come una forza in crescita.
Certo è che, ancora una volta, il panorama che ci troviamo davanti è, perlomeno, desolante: da una parte, la Meloni arringa giornalisti proni e servili, dettando le condizioni a Berlusconi e Salvini, con partiti ridotti al lumicino; dall’altra, Letta spiega a giornalisti servili e proni che il Pd ha imboccato la strada giusta, visto che è il primo partito italiano. Una strada talmente giusta che le scelte di Letta nipote hanno portato il Partito Democratico a sonanti sconfitte al primo turno a Palermo, Genova e L’Aquila, mentre a Verona la sconfitta è rimandata al ballottaggio, quando la sfida fratricida tra Sboarina e Tosi sarà forzatamente rientrata e il primo sarà confermato sindaco. E se davvero Calenda è il nuovo che avanza, c’è da essere preoccupati. Molto preoccupati.
Così, come nel gioco dell’oca, torniamo al “via”. Si riparte da Draghi. E tutto lascia credere che, come avevamo anticipato qualche mese fa, nel 2023 proprio su Draghi premier convergeranno un po’ tutti, tranne la Meloni. Berlusconi e Salvini, infatti, piuttosto che indicare Giorgia premier, preferiranno restare in una coalizione allargata anche nel 2023, quando ci saranno le Politiche.
Magari Salvini avrà un sussulto di dignità e cercherà di dire di no, ma, dopo referendum falliti e Comunali andate malissimo, nella Lega conteranno molto di più i pareri dei “governisti” Giorgetti e Fredriga. Che, già da ora, sono pronti a “sposare” nuovamente Draghi. Con disastri annunciati, per gli italiani e per il Paese, anche nel quinquennio 2023-2027.
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