Giustizia lumaca, un caso esemplare
Spesso, molto spesso, leggiamo o sentiamo parlare di quanto sia lenta la giustizia italiana, soprattutto quella civile, con lunghe file di “scienziati”, che sciorinano dati sui processi arretrati (almeno 4 milioni di cause, il 35% circa delle quali con un’attesa di più di tre anni). E altrettanto spesso leggiamo o ascoltiamo interviste al ministro della Giustizia di turno, che ci spiega come con la “sua” riforma l’arretrato civile si dissolverà in pochi mesi. Sono decenni che andiamo avanti così e siamo certi, purtroppo, che ne passeranno altri, prima che il nostro Paese possa arrivare ad avere una giustizia civile “accettabile” (tralasciamo, per carità e per mancanza di spazio, quella penale).
L’unica certezza, quando si propone una causa civile, è quella della durata esasperante e insopportabile, soprattutto se si tratta di una causa di lavoro. E un caso finito spesso sulle cronache dei giornali del Lazio ne è la testimonianza concreta: quello dell’ingegner Angela Birindelli, licenziata improvvisamente nel 2014 dall’Ater di Viterbo, per essere, poi, riassunta (con tanto di diritto agli arretrati) nel corso di quest’anno, ma ancora con la spada di Damocle del giudizio della Cassazione, che chissà quando arriverà. Sicuramente non entro la fine del 2018.
Raccontiamo brevemente questa storia, perché è, a nostro modesto giudizio, l’esempio concreto della “follia” del sistema giudiziario italiano. L’ingegner Birindelli, dopo essere stata assessore all’Agricoltura nella Giunta regionale del Lazio, guidata da Renata Polverini, rientra al lavoro (siamo nel 2013) e trova subito un ambiente ostile. A suo giudizio è mobbizzata e lo dice apertamente, poi si ammala e, proprio mentre è in malattia, viene licenziata, perché non avrebbe chiesto l’autorizzazione per alcuni lavori eseguiti fuori dall’Ater nel 2008. A questo punto arrivano anche denunce penali (dall’una e dall’altra parte) per presunte firme false su quelle autorizzazioni. Le denuce dell’Ater vengono archiviate nel 2014, mentre quelle dell’ingegner Birindelli contro l’allora direttore generale vanno avanti e sono in corso di dibattimento.
La giustizia civile, comunque, fa il suo corso e così, alla fine del 2017, dopo tre anni, il giudice del lavoro ordina il reintegro dell’ingegner Birindelli e il pagamento, da parte dell’Ater di Viterbo, di tutti gli arretrati. L’Azienda fa appello, ma perde ancora. E allora ricorre in Cassazione.
La morale quale è? Semplice: un lavoratore licenziato ingiustamente è “a bagno” da quattro anni, in balia dei tempi biblici della nostra giustizia. L’ingegner Birindelli, adesso, deve attendere la pronuncia della Cassazione e soltanto dopo questo passaggio potrà tornare a vivere normalmente. E, a conti fatti, dal 2014 saranno passati cinque anni. Ma la professoressa Fornero non aveva detto che, con le novità introdotte dalla sua legge, il rito, per le cause di lavoro, sarebbe stato davvero abbreviato? Altro che giustizia, questa è una vergogna.