Il Governo Draghi e la sfida migratoria
Il Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, prof. Mario Draghi, durante il suo intervento programmatico al Senato della Repubblica in occasione dell’approvazione della mozione di fiducia, ha toccato, tra i vari temi, quello del fenomeno migratorio. In particolare, Draghi ha affermato che l’Italia, insieme ad altri Paesi del Mediterraneo, proporrá in sede comunitaria un meccanismo di redistribuzione obbligatoria dei migranti/clandestini.
Due osservazioni: 1) Draghi (volutamente?) come l’intera Unione Europea paiono dimenticare la causa principale del fenomeno la quale, quando non viene declinata in termini ideologici, è collegata alla mancanza di una seria politica di sviluppo economico nei Paesi di partenza. Non è tollerabile, lo ha rilevato anche la Corte del Conti europea, versare milioni di euro a Stati africani retti da Governi deboli e corrotti. A titolo esemplificativo, basti solo ricordare come, tra il 2014 ed il 2020, il Kenya abbia ricevuto 435 milioni di euro, ossia lo 0,6% del gettito fiscale del Paese; 2) siamo così sicuri che Stati membri quali Polonia, Slovacchia, Ungheria, Francia, Germania siano disposti a voler modificare (se ne parla fin dal 2014) il regolamento UE n. 604/2013 del Parlamento e del Consiglio (c.d. Dublino III)?
Draghi pare aver imparato poco dal Governo precedente, avendo confermato Ministro dell’Interno la dott.ssa Luciana Lamorgese, già nota per il fallimentare accordo di Malta del settembre 2019 sulla distribuzione volontaria dei migranti e non all’altezza del compito dato che gli sbarchi sono triplicati rispetto al Conte I. All’Africa mancano scuole, ospedali, centrali elettriche, strade, acquedotti, fabbriche: possiamo costruirle con aziende di Stato e private italiane attraverso specifici accordi con i rispettivi Esecutivi e come manodopera potremmo utilizzare tutti i clandestini arrivati in Italia per motivi economici, rimpatriandoli, dato che a casa loro si andrebbero a porre le premesse per Nazioni degne di questo nome.