Il problema delle carceri italiane

 

Il problema delle carceri italiane

Una vera e propria città: 58.759, tanti erano i detenuti nelle carceri italiane al 30 giugno di quest’anno. Il che, peraltro, significa 8.127 in più rispetto alla capienza regolamentare degli istituti di pena nel nostro Paese. E, ancora, questo vuol dire che dal 2013 – anno in cui la Corte europea per i diritti dell’uomo condannò il nostro Paese per il sovraffollamento delle carceri – è cambiato poco o nulla.

La situazione, insomma, è sempre la stessa: le misure alternative sono applicate meno di quanto si potrebbe (e con la riforma dell’ordinamento penitenziario, varata recentemente, la possibilità di applicazione è stata ulteriormente ridotta), le prigioni scoppiano e, al loro interno, le condizioni di vita sono drammatiche non solo per i detenuti, ma anche e soprattutto per i lavoratori che vi sono impegnati, a partire dagli agenti di polizia penitenziaria.

In un tale contesto è facile lasciarsi andare, essere preda dello sconforto e della disperazione e a testimoniarlo, purtroppo, ci sono i dati relativi ai suicidi in carcere: nel solo 2017 sono stati 52 i detenuti che si sono tolti la vita, 7 in più rispetto al 2016. Impressionanti la cifra dei tentati suicidi: 1.135. Colpisce anche, però, il fatto che tra il 2013 e il 2017 si sono suicidati 35 agenti di polizia penitenziaria, mentre le aggressioni subite dagli agenti che operano negli istituti di pena italiani sono state, nello stesso periodo, 2.250.

Un vero e proprio bollettino di guerra, che, però, sembra non interessare nessuno o quasi. L’auspicio è che dal governo del cambiamento venga davvero qualche novità, che tenga conto di un elemento troppo spesso dimenticato: migliorare la qualità della vita nelle carceri non significa fare un regalo ai delinquenti, ma rendere meno infernale il lavoro di coloro che operano all’interno dei penitenziari. L’obiettivo finale, a nostro giudizio, dev’essere quello di rendere “diverse” le carceri, farle diventare un luogo nel quale si possa cercare di far sì che la pena abbia concretamente una funzione rieducativa.
Si tratta, è chiaro, di un obiettivo difficile, quasi impossibile, ma non sarebbe meglio per tutti – anziché avere carceri sovraffollate, con detenuti che costano alla comunità 137euro al giorno cadauno – puntare a reinserire davvero chi ha sbagliato? E cercare di svuotare le patrie galere non con gli indulti, ma con azioni vere di reinserimento, se e quando possibile?

Riteniamo che questa sia una battaglia di civiltà che un Paese moderno deve combattere. E siamo certi che il governo gialloverde, che ha dimostrato di voler segnare una forte discontinuità rispetto al passato, saprà dare risposte serie anche su un tema fondamentale come il rispetto dei diritti umani all’interno degli istituti di pena.

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