L’Italia sempre dalla parte sbagliata e la guerra in arrivo

 

L’Italia sempre dalla parte sbagliata e la guerra in arrivo

C’è una guerra all’orizzonte e l’Italia ha la capacità di stare sempre dalla parte sbagliata. Non servono particolari capacità di analisi geopolitica per riconoscere che l’Italia è una colonia americana con 118 basi militari che invadono, e dominano, il nostro Paese, dopo l’invasione avvenuta nel 1945 e la successiva sottomissione politica, economica e culturale compiutasi con l’ingresso nella NATO. Non sono richieste, anche qui, particolari conoscenze per rendersi conto che siamo nel bel mezzo di una guerra asimmetrica, così come già diversi potenti delle nazioni ci hanno ripetuto più volte, compiendo atti istituzionali e movimenti economici che stanno ridefinendo lo scacchiere mondiale – non ultima la dittatura sanitaria mondiale legittimata dall’influenza Covid –, andando a chiarire sempre di più gli schieramenti.

Dando un’occhiata al nuovo Governo di Mario Draghi – in assoluto uno dei banchieri massoni più potenti del mondo, di cui le gesta di criminale affamatore di popoli, nonché svenditore del patrimonio industriale e bancario italiano, sono abbastanza note – non possiamo non sottolineare il fatto che alla Difesa e agli Esteri siano stati confermati i ministri Roberto Guerini, in quota PD, e Luigi Di Maio, dei Cinquestelle. Che vuole dire ciò? Che il nuovo Governo rafforzerà con decisione l’atlantismo e l’europeismo, e gli ultimi atti dei due ministri nella precedente legislatura ne sono una chiara manifestazione.

Guerini è andato a fare visita alla portaerei Cavour, ammiraglia della Marina Militare, in rotta verso gli USA da Taranto, al fine di acquisire la certificazione per operare con i caccia F-35B, detti di quinta generazione, della Lockheed Martin, ribadendo il ruolo essenziale e strategico dell’Italia nel Mediterraneo per le operazioni militari di Lady USA, posizionando il nostro Paese al pari di Regno Unito e Giappone per portata di fuoco. Di più, la ditta bellica italiana Leonardo è leader nel mercato della produzione degli F-35.

Dal canto suo, lo sgrammaticato Di Maio si è recato a Riad, in Arabia Saudita, per firmare il memorandum d’intesa per il dialogo strategico, secondo quanto indicatogli dagli Stati Uniti. Anche qui, il gruppo Leonardo fa la sua parte, perché assiste nell’uso dei caccia Eurofighter Typhoon che bombardano lo Yemen, fornendo anche droni esploratori e da caccia, configurandosi come la ditta alleata per eccellenza dell’imperialismo americano.

Sempre il gruppo Leonardo ricompare, ironia del caso, nel curriculum di Roberto Cingolani, messo a capo del nuovo superministero della Transizione Ecologica (credete forse davvero che questo ministero provvederà davvero, per esempio, a smantellare le testate nucleari presenti sul territorio italiano stoccate nelle basi americane?), secondo quanto imposto dall’agenza mondialista dell’ONU e della UE. Cingolani, fisico specializzato in nanotecnologia e robotica, dal 2019 è responsabile del dipartimento di tecnologia ed innovazione del gruppo Leonardo, che ha progetti in corso anche per lo spazio e il controllo extra planetario. Buffo che il 30% dell’azionariato del gigante dell’i-Tech da guerra sia in mano al Ministero dello Sviluppo Economico, ove risiede da pochi giorni Giancarlo Giorgetti, numero due (o forse il vero numero uno) della morente Lega di Matteo Salvini. L’esperto dei conti gestirà 30 miliardi di euro stanziati dal Ministero per obiettivi militari, più altri 25 richiesti col Recovery Fund, alzando la spesa militare dell’Italia da 26 a 35 miliardi annui come richiesto da ONU e NATO.

Ma come, l’Italia non ripudia la guerra? E il Covid non ci ha dato finalmente il sentore di essere tutti uniti e di doverci fermare per pensare al bene dei popoli e del pianeta?

Non finiscono qui gli intrighi: a spartirsi il portafoglio spese ci sarà anche Daniele Franco, ministro dell’Economia e delle Finanze, già direttore generale della Banca d’Italia, che dovrebbe essere ufficialmente ancora un istituto di diritto pubblico, con partecipazione al capitale di 160 banche e fondi pensione. Nel nuovo governo i cosiddetti tecnici hanno più potere dei politici, e le combinazioni non sono certo casuali. La politica, e chi se ne occupa lo sa bene, si fa sulle lunghe gittate e sui tempi protratti, si programma da lontano e si stringono le trame di palazzo con precisione. Non dimentichiamo che lo stesso Mario Draghi è stato direttore della Banca Mondiale a Washington e direttore del Ministero del Tesoro a Roma, ai tempi in cui partì la feroce privatizzazione delle aziende pubbliche italiane, distruggendo gli ultimi rimasugli di socialismo statale, per poi diventare vicepresidente di Goldman Sachs, la holding e banca d’affari giudaico-americana più potente del mondo, e poi governatore della Banca d’Italia, facendo l’ultimo salto di qualità con il governo della Banca Centrale Europea, mettendo la sua firma, e quindi la sua proprietà, su ogni banconota e spiccioli che si trova nei nostri portafogli. Inutile ribadire l’appartenenza al Gruppo dei Trenta, potente organizzazione transnazionale privata di finanzieri di proprietà della famiglia Rockfeller dal 1978, del gruppo Bildenberg, nonché il grado di massone Gran Maestro nella Gran Loggia d’Inghilterra.

Cosa cambia, dunque col Governo Draghi? Niente per quanto riguarda la direzione già intrapresa dal nostro Paese da ormai una quindicina d’anni; molto in riferimento al velocizzare la scesa in guerra dell’Italia anche stavolta dalla parte sbagliata della Storia. Ma questo è solo l’inizio.

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