5 Marzo 2018, l’alba del giorno dopo, come in seguito ad una battaglia si contano i morti, di cui restano esangui i corpi nella nuda terra, qualcuno viene sotterrato e qualcuno miracolosamente risorge. I carri dei vincitori veri o presunti sfilano in un tripudio di acclamazioni e slogan di bassa lega, che durano sempre pochi giorni, il tempo necessario insomma per riprendere contatto con la dura realtà, e capire che come al solito bisogna che tutto cambi, perché tutto resti uguale.
Elezioni queste sicuramente importanti, che hanno visto un grande sconfitto, due mezzi vincitori ed un vincitore vero. Le campane di quel lunedì mattina salutano il feretro del PD, distrutto da un risultato al ribasso senza precedenti, e pronto al sacrificio del suo leader. Sulla scia della crisi del partito come mezzo di azione politica, di cui abbiamo parlato in un articolo precedente, e su quella del cambiamento dell’assetto geopolitico delle nazioni europee, le quali a poco a poco si stanno sganciando dalla dipendenza americana; il Partito Democratico, espressione purissima del liberalismo mondialista, della borghesia transnazionale, e di una “aristocrazia” radical chic, ha pagato la distanza siderale maturata dalla classe che lavora e che produce, con una disfatta totale.
I voti di chi veramente tiene vivo il tessuto produttivo del paese, e che quindi vive sulla propria pelle le angherie del sistema finanziario e dei suoi sgherri, di cui il PD è stato baluardo, sono andati in larga parte alla coalizione di centro-destra (Lega in particolare), e soprattutto al M5S.
Ecco i due “mezzi vincitori” di cui sopra, Lega e M5S. Soggetti politici certamente diversi, ma che hanno in comune il fatto di essere stati capaci di convogliare all’interno del loro bacino elettorale i voti di protesta, quindi in un’ottica rivoluzionaria, di arginare il fenomeno sociale della protesta, e di diluirlo in promesse di natura amministrativa e quindi antipolitica.
Tuttavia il risultato della Lega, seppur straordinario se paragonato a quello delle scorse elezioni, non può essere considerato determinante. Coloro che in questo momento storico bussano alla porta della ormai terza repubblica, sono i “cinquestelle”. Le parole di Di Maio suonano chiare e precise: <<Sappiamo che quello di ieri è stato un voto post ideologico, perché non è stato dettato né dall’ideologia di destra né da quella di sinistra>>. La retorica dell’era “post-ideologica”, figlia della caduta del Muro di Berlino, e de “La fine della Storia”, e quindi del liberismo assoluto, è quanto di più antipolitico esista al mondo. Se è vero come è vero che esiste (fortunatamente) un sentimento di onta e di rabbia nella popolazione, nei confronti di chi ci ha governato e in parte dei poteri forti connessi, è vero anche che per renderlo vivo, maturo e quindi utile al cambiamento strutturale dell’impostazione economica e sociale del paese, tale sentimento va giustamente direzionato, definito, e rinforzato da paradigmi ideologici.
Ogni critica all’attuale sistema imperante che non sia ideologica, è una critica antipolitica e quindi sterile, poiché non pone l’accento sulla causa vera e reale di ogni qualsivoglia lacuna e mancanza della società. Per questo il M5S (che infatti si prepara a quanto sembra a governare con gli scappati del PD) può soltanto essere la stampella della finanza americana, l’anticorpo del liberismo, che in odore di malcontento è riuscito un’altra volta a neutralizzare la rabbia del popolo, ed impedire lo sviluppo di qualsiasi altra teoria politica, di cui c’è necessariamente bisogno per salvare l’Italia e l’Europa dalla grinfie del mercato, una teoria politica figlia di un pensiero forte, che ripensi il lavoro, lo stato, la vita delle persone e tutto il resto, in chiave comunitaria e quindi sociale, che distrugga la concezione utilitaristica del mondo, e che salvi la stirpe europea dall’egemonia del liberismo, espressione più vivida del pensiero debole e nemico della storia. Il grande vincitore di queste elezioni è ancora una volta il liberismo, benvenuti nella terza repubblica.