Meloni, un segnale dal candidato nel Lazio?
Per una volta, dobbiamo dare ragione a Francesco Storace: il centrodestra deve sbrigarsi a indicare il candidato presidente per la Regione Lazio, perché ormai mancano appena due mesi al voto (fissato per il 12 febbraio 2023) e non si possono fare sconti alla sinistra: dopo dieci anni di Zingaretti, “regalare” altri cinque anni a una Giunta “rossa” sarebbe, come sottolinea Storace, una crudeltà.
Il problema è che, come abbiamo rilevato anche nelle scorse settimane, Fratelli d’Italia non ne vuole sapere di condividere la scelta con gli alleati: Giorgia Meloni e il suo cerchio magico-parentale valutano in beata solitudine tutte le opzioni. O, meglio, tutte le opzioni a loro gradite.
Già, perché il primo nome da fare sarebbe (lo abbiamo già scritto) quello di Fabio Rampelli, ma il cognato di Giorgia (il ministro Francesco Lollobrigida) non vuole, perché tra i due c’è un odio feroce. Le alternative sarebbero la neoparlamentare Chiara Colosimo o l’ex eurodeputata Roberta Angelilli: brave sì, ma certamente non all’altezza di Rampelli. In realtà, sempre dentro i “fratellini”, ci sarebbe anche un vecchio leone della politica romana e laziale, vale a dire Luciano Ciocchetti, assessore all’Urbanistica della Giunta guidata proprio da Storace dal 2000 al 2005.
Ciocchetti, politico navigatissimo, potrebbe essere la risposta giusta ad Alessio D’Amato, scelto dal centrosinistra. Il buon Luciano, però, è considerato troppo lontano da Lollo e famiglia, perché nasce centrista e, quando Giorgia, sorella, cognato e famigli vari ne parlano a tavola, tra un bicchiere di vino e una “fiorentina” acquistata dai fratelli Squarcia (storici macellai della Garbatella), c’è sempre qualcuno che storce il naso: “Ciocchetti è bravo, ma è un democristiano… Come fai a fidarti?”.
Le cose, perciò, vanno per le lunghe e il malumore, all’interno della coalizione, aumenta. Qualcuno, ad esempio, si chiede perché non potrebbe fare il candidato presidente della Regione Lazio un giovane come Fabrizio Santori, ex consigliere regionale ed attuale consigliere comunale in Campidoglio. Santori è una vera e propria macchina da guerra: sempre sul campo, sempre pronto a rispondere ai cittadini, sempre disponibile a verificare di persona le scempiaggini che si compiono sul territorio. Santori, però, è visto come il fumo negli occhi da Giorgia e famigli, perché qualche anno fa lasciò la casa di Nostra Signora della Garbatella, per approdare nella Lega. Con i suoi voti, ha fatto eleggere un’europarlamentare (Luisa Regimenti), poi è stato eletto in Campidoglio e ha sfiorato un seggio alla Camera alle ultime Politiche.
Certo, un’eventuale candidatura di un uomo come Santori suonerebbe come una provocazione alle orecchie di Lollo e compagnia, che risponderebbero tracotanti: “I voti li abbiamo noi, decidiamo noi”. Ecco, questa arroganza, questa mancanza di disponibilità al dialogo e alla valutazione di personaggi che, davvero, potrebbero regalare la vittoria al centrodestra nel Lazio è la cosa che allarma maggiormente.
Abbiamo visto tutti che fine hanno fatto Renzi e Salvini, per citare i casi più eclatanti degli ultimi anni, passati in un “amen” dal 35 per cento all’irrilevanza. Piuttosto che perdere tempo ad aprire la sua Agenda agli elettori, Giorgia dovrebbe, perciò, dedicarsi a portare avanti misure in linea con quanto promesso prima del voto, abbandonando l’Agenda Draghi, alla quale sembra ispirarsi ogni giorno di più. E dovrebbe svincolarsi definitivamente da sorelle, cognati e amici, perché la politica è (o, almeno, dovrebbe essere) una cosa seria, non roba di famiglia.
Il primo segnale può arrivare proprio dal candidato alla presidenza della Regione Lazio: scegliere qualcuno che non appartenga alla cerchia degli intimi, ma che abbia tutti i requisiti per vincere, indicherebbe una svolta decisiva. Purtroppo, siamo quasi certi che questo non avverrà.