Riflessioni sul colpo di stato
Alla fine è accaduto, lo prospettavamo da tempo quasi come un auspicio, un desiderio di liberazione, un’emozione dal sapore di cose passate. L’alta finanza ha definitivamente gettato la maschera, fregandosene del risultato dei ludi cartacei, e quindi della volontà popolare, ha optato per il colpo di stato. La notizia viene ormai discussa da giorni, molto è stato scritto e molto scriveranno teste e penne più autorevoli di me, riguardo gli aspetti tecnici della decisione del Presidente della Repubblica, tuttavia restano dei nodi da sciogliere, delle riflessioni politiche da enucleare.
Mai nella storia repubblicana era accaduto un fatto così grave, mai nessuno nel ruolo di Capo dello Stato si era arrogato il diritto di agire come un monarca settecentesco, e rifiutare la nomina di un ministro per divergenze palesemente politiche e ideologiche, non certo istituzionali come “Re” Sergio Mattarella vorrebbe farci credere.
Le riflessioni in merito sarebbero molte, la prima riguarda sicuramente il dubbio ruolo del Capo dello Stato quale “garante della Costituzione”; osserviamo negli ultimi anni infatti quello che può essere definito un “accentramento” di potere nelle mani del Presidente della Repubblica e del Primo Ministro, arrivati a questo punto, dopo i fatti di questi giorni, è chiaro che il PDR non è più la figura neutra di garante della Costituzione, ma è una vera e propria figura politica, garante purtroppo di poteri altri, transnazionali, che fanno capo come al solito alle centrali finanziare che governano e reggono il nostro mondo. Bisognerebbe però chiedersi se esso nella storia del dopoguerra abbia mai rivestito tale ruolo, oppure sia sempre stato un personaggio schierato con le élite, pronto a garantire ai veri padroni del popolo italiano, la salvaguardia dei loro interessi militari, economici, finanziari.
Vero è che in epoca di crisi, quale sta attraversando in questi anni il mondo (non solo Occidentale), come è sempre accaduto nella storia si serrano le fila attorno a personaggi e/o esecutivi forti – Merkel, Putin, Xi Jinping, Macron ecc., questo ha da essere inteso come estremamente positivo, poiché inaugura anche in Italia il periodo di crisi della democrazia liberale.
Quindi l’altra questione riguarda certamente il futuro dell’ordinamento democratico così come lo conosciamo, è facile capire che azioni di questo tipo sono niente di meno che il risultato dello stato di servaggio in cui versa il nostro paese da circa settant’anni. La democrazia liberale è un ordinamento dello stato e della società che non ci appartiene antropologicamente, atlantica, anglosassone, diretta propaggine del liberismo e di tutte le sue aberrazioni, essa ci è stata imposta ed è stata mantenuta viva per mezzo ideologico, culturale e militare, dalle stesse centrali di potere che da anni ci impongono esecutivi, decisioni, manovre economiche, guerre imperialiste. Oggi la decisione di Mattarella (o meglio di chi sta sopra di lui), apre nuovi scenari; il voto si è palesato inutile e superfluo, manifestazione sempre più grottesca di quello che dovrebbe significare (secondo loro) la democrazia, i partiti sono legittimi e legittimabili all’incarico di governo soltanto se ideologicamente ben allineati, la stampa è di fatto in mano al ceto intellettuale dominato dal sistema, la maggior parte dei sindacati si è schierata apertamente con i padroni, sostenendo il “golpe” Mattarella, la nuova legge elettorale che si farà andrà ancora una volta verso una soglia di sbarramento più alta. Sembra non esistere più un mezzo di azione e diffusione politica per chi ha idee diverse.
Quali prospettive di azione politica può quindi avere un popolo a cui viene tolto qualsiasi strumento democratico, seppur fittizio? “Ai posteri l’ardua sentenza” – noi chiniamo la testa alle leggi della Storia, e riprendiamo in mano i testi di Sorel, che vista la situazione in un futuro non troppo lontano, potrebbero fare comodo.