Rigore delle pensioni come atto di responsabilità nazionale
Sollevare il problema delle pensioni nel quadro estremamente critico della fase economica e demografica che l’Italia attraversa può rappresentare atto di responsabilità da parte di tutti coloro che hanno a cuore l’interesse della nostra comunità nazionale.
Possiamo per sommi capi richiamare gli elementi fondamentali che condizionano direttamente o indirettamente il sistema pensionistico italiano.
Secondo i dati Eurostat (aggiornati al 2016 , ulteriormente peggiorati nel 2017) l’Italia è il Paese in assoluto più vecchio dell’intera Europa: su 100 abitanti in Italia 22 hanno più di 65 anni ; in Francia sono 18.8, nell’Regno Unito 17.9. La situazione è destinata ad aggravarsi con l’inevitabile complessiva conseguenza che la massa dei pensionati italiani è destinata a crescere nei prossimi anni mentre la quota della popolazione giovane ed attiva risulterà in costante riduzione.
Nonostante encomiabili eccellenze settoriali e andamenti regionali incoraggianti, l’economia italiana da oltre vent’anni registra un tasso di sviluppo decisamente inferiore alla media dei Paesi europei ed anche per il prossimo futuro non è possibile ipotizzare un riallineamento dell’Italia sui livelli medi del resto d’Europa.
In tali ristrettezze e con tali prospettive è giusto pensare prioritariamente alle pensioni per invocare rigore ?
Lo è perché i trattamenti pensionistici possono assorbire ogni nuova risorsa eventualmente disponibile per l’ auspicato rilancio nazionale e perché i medesimi trattamenti sono potenzialmente in grado, per le dimensioni finanziarie coinvolte, di portare al definitivo collasso del Paese.
Per entrare nel concreto, sarebbe atto di responsabilità nazionale garantire ai pensionati italiani un trattamento chiaro , equo ed umano che elimini in ogni caso ogni sorta di privilegi di casta o di categoria.
Trattamento equo sarebbe quello strettamente basato sui contributi versati, posti a rendita nel momento prescelto dal singolo cittadino.
Trattamento umano sarebbe a sua volta quello che preveda comunque un assegno minimo di pensione adeguato alle esigenze di una sopravvivenza dignitosa.
E’ appena il caso di notare come un rinnovato e più rigoroso sistema pensionistico non potrebbe tollerare ulteriormente le sacche di privilegio che riguardano attualmente determinate categorie sociali a cominciare da quella degli ex-parlamentari per finire agli alti funzionari dello Stato o manager di banche e di aziende che percepiscono pensioni superiori a quanto risulterebbe dal calcolo dei contributi effettivamente versati.
Nonostante la pendenza di un eventuale giudizio della Corte Costituzionale (giudizio a cui potrebbero far ricorso i titolari delle pensioni decurtate) i livelli di tutte le pensioni INPS dovrebbero gradualmente adeguarsi al generale criterio “contributivo” che per le categorie ad alto reddito, garantirebbe comunque un assegno di tutto rispetto.
Un più rigoroso ed equo sistema pensionistico dovrebbe comunque costituire solo il primo passo per altri necessari sacrifici accettati dai cittadini per effetto di un rinnovato senso di coscienza nazionale .
E’ appena il caso di precisare che il rigore di cui parliamo dovrebbe mirare a procurare risorse per una politica di rilancio economico veramente incisiva (maggiori investimenti in infrastrutture, in ricerca ed in istruzione avanzata, in consistenti incentivi alla natalità).
Occorre ricordare con fermezza che non saranno i bonus estemporanei, l’età di pensionamento anticipata o altre blandizie demagogiche a far uscire l’Italia dalla palude depressiva in cui è piombata. E non saranno le “elasticità” concesse da Bruxelles che potranno salvarci. Se gli italiani veramente vorranno tentare di riguadagnarsi una speranza di futuro, che significherebbe soprattutto lavoro ed avvenire per i giovani, dovranno prima o poi convincersi che possono contare esclusivamente sulle loro residue forze morali e materiali.