12 dicembre 1969, di venerdì. È quasi ora di cena. In bagno Mario sta terminando di asciugarsi i capelli lunghi e disordinati. Suonano alla porta. “E’ la polizia che ti cerca”, viene la mamma a chiamarlo. Tre in borghese dell’Ufficio Politico. Deve andare con loro in Questura per un confronto, si inventano. “Conto non fare tardi”. Aggiunge: “Questa sera in televisione c’è un programma sulla Machnovicina e non voglio perderlo”.
(In Ucraina, durante le fasi iniziali e convulse della Rivoluzione bolscevica, si sviluppò un movimento anarchico, guidato appunto da Machno, che raccolse l’insofferenza e la rivolta contro i dettami della Armata Rossa e da quest’ultima sterminato. Preludio di quel conflitto brutale e tragico, che contraddistinse la storia degli anarchici nel corso del ‘900 e che trovò tinte fosche durante la guerra civile in Spagna. D’altronde nella “guerra in cielo” – felice espressione ad indicare il contrasto delle idee – Max Stirner prima e, in seguito, M. Bakunin furono derisi e osteggiati da Marx ed Engels).
Indossa l’eskimo, prende le sigarette, sta per chiudere la porta. “Ti tengo in caldo la cena”, l’avverte la madre; il padre s’è alzato ed ha acceso il televisore per ascoltare il telegiornale delle 20. “È esplosa una bomba a Milano. Una strage”. Fugace pensiero, mentre chiama l’ascensore, “Sti cazzi. Io sono a Roma”. Fugace e stolto pensiero, se la narrazione proseguisse e annodasse fra loro gli interrogatori la cella d’isolamento i tre anni ed oltre di carcere i diciassette di processi…
Cinquant’anni sono trascorsi e cosa rimane in lui? In notti insonni quando ti assale qualche incubo dei sogni inquieti mai, però, le sbarre i chiavistelli come se fosse una vicenda altra e a cui ha assistito da spettatore… (Ho cercato di non farmi schiacciare).
“Kinder, geniesst den Krieg, der Friede wird fuerchterlich”. Dove ha letto o chi gli ha suggerito questa cruda espressione, vento gelido e beffardo che spirava dal Fronte dell’Est? “Ragazzo, approfitta della guerra, la pace sarà terribile”. Già. Ci sono auree prigioni, il quotidiano esperire, ben più grigie di quelle di ferro. Poi i capelli si fanno bianchi il volto un reticolo di rughe l’occhio stanco e il passo incerto. Un plotone di esecuzione, come dodici bocche da fuoco avide del suo sangue, si rende il tempo. Nonostante tutto, eppure e comunque ha tentato di vivere. Accettar/si o, per dirla con il “suo” amico Nietzsche “prendere le distanze”. Senza rimorsi senza rancori senza rimpianti. (Ho cercato di non farmi schiacciare).