50°della Primavera di Praga: una rivoluzione incompiuta
Breve relazione sulla conferenza del professor Carlo Vivaldi Forti
La Primavera di Praga; la speranza, il calore della coesione di un popolo, dai lavoratori agli intellettuali, il fervore della lotta, sangue e sudore per le strade, carri armati e terrore, come spesso si è visto nella Storia, poi una fiamma violenta, un giovane che brucia in piazza, Jan Palach che diventa martire, Praga che diventa un simbolo per il nostro mondo. Immagini di un evento che indubbiamente ha segnato l’Europa, divisa in due dai blocchi degli imperi occupanti, e sconvolta dal vento del ’68, sia ad est che ad ovest.
Di questo e molto altro ancora, ha parlato Carlo Vivaldi Forti nella conferenza di cui sopra, organizzata dal Pensiero Forte in collaborazione con la Comunità Militante Soliferrum. Vivaldi Forti, professore associato di sociologia presso l’INDEF di Bellinzona, ha ripercorso la cronologia dei fatti e degli antefatti che erano in essere nella Primavera di Praga, basando la trattazione, più che su un’analisi storica, sulle vicende di singoli “attori” di quel dramma, partendo indicativamente dall’elezione di Alexander Dubček, che come sappiamo è considerata la scintilla iniziale della rivolta, fino indicativamente alla repressione violenta da parte dell’URSS. In questo modo egli ha potuto fortificare l’interpretazione dell’evento, servendosi di esempi reali, e fornendo quindi varie fotografie di “vita quotidiana” al tempo della rivolta.
Al di là della fattualità storica, della quale siamo bene a conoscenza, la conferenza si è mossa tra le differenze esistenti tra i due ’68 (ad est e ad ovest) ed i loro rispettivi sviluppi, addivenendo poi a determinate conclusioni.
Del ’68 occidentale, ovvero quello a cui siamo abituati a rapportarci noi, Vivaldi Forti dà un’interpretazione totalmente negativa, in quanto egli sostiene che lo sviluppo filosofico del “sessantotto” (appositamente scritto in lettere) abbia modificato in peggio le condizioni del sistema “Occidente” poiché, come spesso si è detto, le premesse di rivoluzione sociale che realmente esistevano nello spirito del “sessantotto”, sono state fagocitate da quelle della rivoluzione sessuali e di costume post-borghese, dei sedicenti intellettuali di sinistra del tempo. Questo ha portato ad uno sconvolgimento, al quale non si è più potuto porre rimedio.
Il ’68 nel Blocco sovietico invece, è stato l’inizio di quel movimento sotterraneo che nei venti anni successivi, avrebbe portato alla destabilizzazione, e quindi al crollo dell’Unione Sovietica. Nato internamente ai partiti comunisti, trattandosi di un sistema totalitario non era certamente pensabile un’altra soluzione, il movimento ad est si proponeva non uno sconvolgimento ideologico, come molti credono, bensì una sorta di ammodernamento del modello socialista, che avrebbe dovuto essere per così dire “dal volto umano”, e quindi basato su una reale partecipazione del popolo alla vita politica. Al di là delle speranze iniziali, questo movimento ha di fatto comportato il crollo dell’URSS, e qui sta il senso del titolo; “una rivoluzione incompiuta”.
Incompiuta il “sessantotto”; ad ovest ha fortificato il liberal-capitalismo rendendolo “onnivoro” e gettando le basi per la post-modernità, ad est ha niente di meno che contribuito a sostituire l’oppressore sovietico con quello americano, ed a distruggere il comunismo, per poi spianare la strada al turbo-capitalismo di cui oggi intravediamo la tanto sperata fine.
Secondo Carlo Vivaldi Forti, è necessario pensare una teoria politica nuova ed altra, che faccia forza sugli insegnamenti delle passate esperienze ideologiche, che parta veramente dalla base, e soprattutto che sia integralmente partecipativa, contemplativa quindi di tutte le forze della nazione.
Soltanto così la società europea potrà rialzarsi dalle macerie dell’impero liberista, e tornare agli antichi albori.