Esistono molte fratture nella storia italiana, forse la più grave è stata quella dell’8 settembre 1943, anche perché più passa il tempo e più sembra lontana la possibilità di riempirla con un giusto esercizio di memoria storica. L’armistizio, ma è meglio definirlo come fecero gli Alleati una resa incondizionata, ha quattro grandi responsabilità, di cui parleremo in questi articoli.
Intanto, l’armistizio è figlio del “colpo di Stato” del 25 luglio, un evento sul quale la storiografia si interroga da tempo, chiedendosi come sia stato possibile che il Duce, che ne aveva la facoltà, non abbia sciolto la riunione del Gran Consiglio e soprattutto abbia fatto mettere ai voti l’ordine del giorno Grandi che di fatto lo sfiduciava. L’ultima ipotesi storiografica, forse la più convincente, è che Mussolini volesse sganciare l’Italia dal conflitto e a tal fine aveva incontrato a Feltre Hitler, con l’idea di fare una serie di richieste per poter restare nel conflitto che, a suo avviso, avrebbero indotto il Führer a concordare l’uscita dell’Italia. Tuttavia, a Feltre Mussolini non riuscì nemmeno a parlare, travolto dall’oratoria dell’interlocutore; da qui l’idea di far votare e approvare l’ordine del giorno Grandi per poi vedersi confermato come capo del governo, ma con la possibilità di avvisare l’interlocutore tedesco che se per il momento riusciva a tenere a bada la situazione, il rischio era che se la guerra continuava per l’Italia, nella prossima occasione il fascismo poteva cadere e la Germania trovarsi in una situazione di difficoltà, cosa che i tedeschi avevano già pensato preparando fin dal gennaio 1943 il piano Alarico, ovvero l’occupazione dell’Italia.
Mussolini non poteva certo immaginare che il re, suo “cugino” in virtù del Collare dell’Annunziata, lo avrebbe destituito e addirittura fatto arrestare. Intanto Badoglio annunciava che la guerra continuava a fianco dell’alleato germanico, mentre il re rassicurava l’ambasciatore Rahn; i tedeschi si sentirono parzialmente tranquilli, tanto che Kesserling comunicava a Hitler che di Badoglio ci si poteva fidare. Il Führer era invece convinto che l’Italia si stesse preparando a uscire dalla guerra, ma per il momento non ordinò l’attuazione del piano Alarico, né la liberazione del Duce, per timore di offrire un pretesto al governo Badoglio per la defezione. Intanto, mentre i tedeschi venivano “rassicurati” dal re e Badoglio, il generale Castellano firmava a Cassibile, in Sicilia, il cosiddetto armistizio corto – quello lungo venne firmato a Malta il 29 dello stesso mese – che all’art. 29 prevedeva la consegna di Mussolini e dei principali gerarchi agli Alleati, cominciando a sottrarre il primo pezzo di sovranità alla Corona.
L’8 settembre, su pressione del Comando alleato e in concomitanza con lo sbarco alleato a Salerno, l’armistizio fu annunciato da Badoglio, il quale voleva ancora tempo e spingeva gli Alleati a sbarcare nei pressi di Roma, per salvare il re, sé stesso e gli interessi che da sempre ben rappresentava. Eisenhower dovette ricordargli che la resa era senza condizioni e che, se titubava ancora, l’annuncio sarebbe stato dato direttamente dal Comando angloamericano. Ed ecco la prima responsabilità dell’8 settembre: lo sfascio di un esercito che aveva combattuto con grande valore. La resa arrivò senza nessuna preparazione e senza fornire ordini, se non quello contraddittorio di rispondere agli attacchi da qualunque parte provenissero.