Altre solitudini

 

Altre solitudini

Osservo, testimone modesto attraverso lo spazio ristretto che mi porta al caffè dal fruttivendolo al supermercato, osservo e… ‘Il sistema richiede sudditi che non si pongano troppe domande. Si può concedere loro di votare, possedere un’apparenza di libertà, ma gli arcani del potere, le leggi fondamentali che reggono gli eserciti, la finanza, le sfere d’influenza, sono immutabili, e impenetrabili ai più: il vero potere, le reali decisioni, sono poste in una sfera intoccabile dalle masse e dai singoli’ (tratto da ‘Camus deve morire’ di Giovanni Catelli, libro pubblicato nel 2013), ma solo ora ne prendo visione. Su quell’incidente di automobile che schiantò lo scrittore contro un platano in una mattina tranquilla del gennaio 1960 e che Catelli, al contrario, ritiene provocato da sabotaggio ad uno pneumatico ad opera del KGB, traendone prova dal diario di Jan Zàbrana, dissidente ceco. E mi ritrovo sotto una pila disordinata di libri ‘La morte felice’ con dedica di mio padre, Natale 1971, e con il visto della direzione carcere Regina Coeli, di Camus. Prova non paragonabile a ‘Lo straniero’ che rimane lettura irrinunciabile. Meandri della storia, labirinti della memoria).                                     

Credo che sia Albert Camus (il suo romanzo ‘La peste’ è tornato prepotente in tempi di pandemia) a riportare ne ‘L’uomo in rivolta’ l’immagine tratta da ‘Diario di Siberia’ di un ufficiale tedesco, detenuto in campo di prigionia sovietico, che s’era costruito un pianoforte in legno e davanti al quale, seduto, suonava per ore musica da lui solo composta e percepita (finzione onirica e funzione liberatrice; del resto, negli ultimi anni, Beethoven ormai completamente sordo componeva attraverso i suoni che solo la mente poteva rimandargli). Ciò conforta – se ce ne fosse bisogno – quanto da me sostenuto a dare alla solitudine un marchio di profondità e distinguerla, in tempi di confusione anche linguistica (la ‘nostra’ sconfitta del ’45 ci ha portato a perdere la guerra delle parole…), dall’imperante e alienante isolamento.                                              

‘Sei ogni istante di solitudine’, verso magistrale e rivelatore dello scrittore argentino Jorge Luis Borges – potrei farlo scolpire sulla mia lapide se non avessi previsto altro per il mio ‘futuro’… C’è, però, mi rendo conto un soffio lieve e pur tenace di tristezza di inquieto pessimismo di radicata sfiducia. La solitudine quasi ad intendersi simile ad uno spasmo, a tacitata sofferenza, una malattia a cui l’unica medicina, il rimedio, sta nell’indifferenza nello stordimento nel negarla comunque e nonostante tutto. È così e non altrimenti? Mi abbarbico ancora, in questo breve spazio, senza pretesa di dare e darmi risposta, ad Albert Camus, al Camus questa volta de ‘Il mito di Sisifo’ – condannato, si narra nell’immaginario mitico greco, a spingere in vetta un enorme masso e vederlo rotolare al fondo per poi dover in eterno ricominciare. Il dolore che pervade, ineluttabile, l’esistenza e a cui non è dato sottrarsi. Eppure – ed io mi dico e vi suggerisco chi se ne frega se è illusione e inganno – ‘anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice’. Felice? Ho già sentito questo richiamo, questo invito. È la voce di Léon Degrelle – sprecai la occasione di incontrarlo a Madrid, ma di cui raccolsi l’esortazione appunto a non negarmi alla felicità… Appunto la solitudine dei giorni, l’essere soli, con il ricordo di volti parole luoghi e ad accoglierli, errori compresi, nel sereno volgere della sera.

 

Immagine: https://dentrolatanadelconiglio.com/

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