Ancora sullo spirito del legionario
Lo spirito del legionario non afferisce a un mondo onirico di guerrieri con l’armatura o ad epoche lontane e irriproducibili; esso è perfettamente traducibile nell’ambiente di lavoro o di studio.
Nel primo caso consiste nel rifiuto del carrierismo, nell’onestà che non è considerazione moralistica, ma significa in primo luogo rispetto della propria funzione e quindi di se stessi.
Nel secondo caso consiste nell’impegno diuturno scansante la stanchezza e la pigrizia, nel rifiuto di facili scorciatoie, nel pretendere serietà nelle valutazioni affinché costituiscano davvero un elemento autovalutativo.
Altrettanto potrebbe dirsi per ogni settore della vita sociale dove conta riacquistare il senso del sacrificio, termine oggi caricatosi di un significato negativo, mentre indica un sacrum facere, ovvero un’azione che si eleva dall’utile economico, dal mero interesse, per innalzarsi alla sfera superiore dello spirito. Sarebbe necessario adottare un giusto atteggiamento nei confronti degli strumenti di cui la modernità ci circonda e ci soffoca: non si tratta di vagheggiare impossibili ripiegamenti verso un mondo preindustriale, ma di rifiutare la “logica macchinistica”, che non è che una delle conseguenze delle degenerazioni odierne.
Il computer sostituisce le funzioni cerebrali: nessuno sa più fare un’operazione senza calcolatrice; ci si avvia a generazioni che non sanno più scrivere in corsivo o addirittura usare la penna; le comunità virtuali sollevano dalla fatica dell’incontro che è però il sale della relazione umana. Tutto si riduce a mera virtualità, tanto che si può dire, senza tema del ridicolo, di avere centinaia o migliaia di amici senza che se ne conosca davvero nemmeno uno. Ciò non vuol dire che il mondo digitale non possa essere un utile strumento, ma a patto di considerarlo davvero come tale e quindi utilizzarlo quando serve.
Del resto, anche il martello è un utile strumento, ma non ci sogneremmo di portarlo sempre in tasca. Se invece non si può fare a meno del cellulare, della macchina, di internet, allora vuol dire che siamo noi a essere diventati puri strumenti, a dipendere dalle macchine. Siamo noi ad essere usati. In merito al denaro, idolo assoluto dei nostri tempi, criterio e misura di valore, bontà e bellezza, non si tratta di spogliarsene francescanamente vivendo di elemosine, ma di collocarlo al posto che esso deve avere in una vita umana “sana”: l’ultimo posto.
Occorre, dinanzi alle ricchezza, avere l’atteggiamento che Seneca – l’uomo più ricco dell’impero romano – invitava a tenere dinanzi alla propria casa che brucia o agli averi che si perdono: mantenersi tranquilli sapendo di non stare perdendo nulla perché ciò che veramente vale lo si porta dentro di sé oppure non lo si possiede.