Andrà tutto bene (Every Thing Will Be Ok)

 

Andrà tutto bene (Every Thing Will Be Ok)

No, non è lo slogan benaugurante che era appeso ai balconi romani sull’esito della guerra al COVID-19, dopo un anno suonerebbe cinica beffa con perdite di oltre 100.000 contagiati  ai quali no, non è andata affatto bene, è invece la scritta sulla t-schirt d’una diciannovenne birmana, Kyal Sin, assassinata dalla polizia con un proiettile alla testa mentre manifestava nella città di Mandalay contro il regime militare dopo l’ultimo golpe in Myanmar (Birmania) datato 1 febbraio, culminato, come da copione, con l’arresto di Aung San Suu Kyi, del presidente Win Myint e degli altri leader della LND partito in schiacciante maggioranza nel Paese del pavone.

Eccola là fotografata in battaglia con jeans e maglietta l’”Angelo” ribelle, non contro Dio, ma contro i militari che dal ‘62 calpestano, quasi fosse una cicca, il diritto naturale alla libertà, dietro di lei si levano i fumogeni sparati dai reparti anti-sommossa, ci si difende e si morde come si può, la repressione è capillare, feroce, la dea democrazia richiede sacrifici umani, tanto sangue, tanto coraggio, tanta determinazione a un popolo nel pozzo della povertà ma “libero dalla paura” ricordando il titolo di una raccolta di scritti del premio Nobel per la pace 1991, Lady Aung San Suu Kji presidente della LND (Lega Nazionale per la Democrazia).

“The Angel” era il simbolo di questa rivoluzione pop, giovanissima eroina ci ricorda la Pulzella d’Orleans, non ha la spada al suo fianco ma un nastrino rosso stretto al polso, segno di coraggio, la passione per la danza, per le arti marziali birmane (il taekwondo), l’amore per la propria Patria anima prigiona delle catene liberticide, anima che chiede d’essere liberata. Kyal la ricordano non solo per la sua fede ma anche per la solidarietà coi  ribelli che nasce quando si rema tutti assieme, allorché cuore, mente, azione puntano dritti l’ostacolo per gettarselo alle spalle.

Il suo altruismo era carne, ha lavato alla fontana gli occhi dei compagni, bruciavano per i fumogeni, subito dopo un proiettile l’ha centrata alla nuca, lei come altri giovani alla guerra, cadeva nell’ombra del presentimento d’una magra signora con falce ed elmetto, in premonizione di un loto strappato aveva fatto dono dei propri petali vitali, cuore caldo sulla bilancia contro la spada. 

Gli inutili bla-bla dei farisei che alzano alti lai dalla decrepita Europa all’inutile ONU stracciandosi le vesti, i tanti Kaifa inetti che gridano alla bestemmia contro la democrazia, poi nel concreto armano i militari a difesa degli interessi bancari e finanziari di un cannibal-capitalismo con le stellette, la pentola della ricchezza da decenni è nella cucina delle caserme che, ricordiamolo, anche nella democrazia ibrida nata colle elezioni del 2015, hanno mantenuto il 25% della rappresentanza in Parlamento (come da Costituzione, sic!) gestendo di fatto i gangli vitali del sistema.  Il push del Tatmadaw (esercito birmano) del gen. Ming Aung Hlaing, uomo potentissimo  ci dicono, ribadisce con la forza il potere assoluto delle Forze Armate, il grugnito dell’orco a l’indirizzo d’una diafana democrazia, malvista perché perniciosa per la salvaguardia degli interessi della casta, se fosse stato ratificato il risultato del 83,3%, al suffragio 2020, in favore della Lega Nazionale per la Democrazia, il Partito di Aung San Suu Kji, forte di quel mandato plebiscitario, avrebbe potuto finalmente apportare serie riforme costituzionali gettando le fondamenta giuridiche d’ una democrazia autentica, allora i graduati hanno preso a  ululare su presunti brogli elettorali della LND e Paf! E’ partita una sberla secca all’anemica democrazia.

Anemica perché nel lustro precedente c’era stata una  parentesi di compromesso o poca forza nel braccio di ferro tra Lega e Partito dell’Unione della Solidarietà e dello Sviluppo ( incredibile retorica d’un partito tiranno), riforme in punta di piedi, minimali, equilibrismi instabili tra governo democratico e militari, birmani a cavallo e minoranze etniche a piedi, una San suu Kji acrobata sulla fune tra realpolitik e rotta verso il futuro,  soprattutto, dicono attori e comparse del international mainstream, corresponsabile con l’esercito della feroce repressione contro i musulmani dello Stato Rakhine. Così la figura mitica, ieratica di Aung San Suu Kji (figlia d’ un eroe nazionale) è scesa dall’edicola laica per entrare nel cono d’ombra cupa dei giudizi dem-progressisti americani copiati ed incollati sui media europei.

Ma non è lei qui l’Angelo della rivolta, la dea col copricapo frigio che guida il popolo, lo è invece questa studentessa ormai fredda rinchiusa dentro assi di legno, ricoperta di fiori in un carro funebre tutto nero e oro, respirano per lei le migliaia di birmani che la seguono intonando canti rivoluzionari, l’eroina caduta ha gettato loro il testimone.

Cattolici di sagrestia, cattolici al fronte, non c’è compromesso con chi ha volutamente perduto il coraggio tuffandosi nel pensiero liquido, fatalista del presente, nel compromesso a ogni costo. 

Suor Ann Nu Thawng, della congregazione saveriana, il 1 marzo da sola  s’ è inginocchiata sull’asfalto di una strada della città di Myitkyina, Stato Kachin del Myanmar, davanti a un muro armato di poliziotti, a mani giunte ha pregato i “forzati dell’ordine” di smetterla di pestare a sangue i giovani manifestanti, il suo gesto ci ha ricordato quel giovane, anonimo studente cinese solitario hidalgo che ondeggiava in segno di sfida dinanzi ai carri armati in piazza Tienanmen nel giugno de l’89, fu gloria, è gloria, di cavalieri  solitari, la vita contro il male, contro la morte.

La polizia s’è arrestata, suor Ann ha vinto portando in salvo almeno cento giovani nel suo convento salvandoli da manganellate, colpi alla nuca e ceppi certi, lei è un’altra incarnazione della Pulzella.

A loro,  Kyal Sin e suor Ann, carne viva di un viver forte il nostro mingalaba (siate benedette), moltiplicatevi e “andrà tutto bene”.

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