Apollo e Dioniso ci vengono proposti in antitesi fra loro. Il pensiero raziocinante che tutto spiega e su tutto ha pretesa d’imporsi; le emozioni e i sentimenti linguaggio del corpo con il suo flusso e il gioco di luci ed ombre. Dopo Nietzsche il nostro sguardo s’è spinto ben oltre. Semmai – scoprimmo – furono divinità complementari, l’una necessitando dell’altra, in quell’eterno dualismo ove l’uomo vive e soggiace. Gli dei si rendono maschera dell’umano esperire tra essere e divenire. Solo in prospettiva al di là e più in alto, per dirla con il filosofo Nicola Cusano, gli opposti si ritrovano e in armonia coincidono. Le belle forme; l’ebbrezza e la danza. E viene a mente quanto ammoniva ‘l’idiota’ del grande scrittore russo, Fedor M. Dostoevskij, ‘Solo la bellezza ci salverà!’…, ci ricorda come le inquietudini dell’anima e le contraddizioni del corpo nascono nello stesso spazio, vivono sotto il medesimo cielo.
Anche Apollo è divinità che proviene da lontano. E, nella lontananza, é il suo fine. Come Obliquo è il suo sguardo così sono gli oracoli nel loro dipanarsi con le parole oscure ed ambigue. A Delfi pietre arbusti rovi metallo quanto permane del tempio dedicato ad Apollo là dove la Pizia vaticinava il responso del detto non detto. Aprile ’68, giornata di sole e di vento. Porto in me la domanda ed essa rimane muta e muta ogni risposta. Quel sole e quel vento mi suggeriscono ‘aria di rivoluzione’, troppo giovane ed ingenuo, per cogliere il mistero del sacro. E, forse, alla sua ombra o forse e meglio il volto autentico di quel Nulla che tutto nullifica. Gli dei si sono ritirati e noi uomini d’oggi non sappiamo ritrovare le tracce i segni del sentiero, di quei sentieri ‘interrotti’ che si disperdono oramai, si nascondono alla nostra vista, la luminosità della radura, noi privi di idee e di sogni e di grandezza.
A Roma, di tarda primavera, il sole arrossa il cielo e irrompe fra le arcate antiche del Colosseo. Ne veniamo quasi circonfusi. E’ il crepuscolo degli dei, il tramonto sulla terra d’Occidente, parla in me il peso della decadenza. Tendo ad incupirmi. Sono distolto da Sandro. Qui non c’è solo la bellezza, qui dovremmo dare agli occhi la misura del sacro, mi suggerisce. Proprio a Delfi s’era rivelato a Socrate quel Conosci te stesso sul frontone del tempio e la modernità l’ha trasformato in plebeo assertore e demagogo del pensiero calcolante (come Euripide sulla scena del tragico), mentre nella distinzione d’ogni ruolo – consapevole o meno – nel retro avrebbe trovato la compiutezza del senso in ‘e scoprirai l’universo e dio’… Apollo e Dioniso si tengono per mano e ci donano frammenti d’assoluto Niente…