APPROFONDIMENTI: la rivoluzione partecipativa in ciascun paese, ultima speranza
Finalmente si comincia a fare un po’ di chiarezza circa i rapporti di forza e gli equilibri nella nostra epoca. Mentre subito dopo il crollo dell’Unione Sovietica regnava ovunque una terribile confusione, per cui era difficile stabilire chi avesse vinto e chi realmente comandasse, oggi gli schieramenti appaiono meglio definiti. Al vertice della piramide mondiale si trova infatti una oligarchia di poche decine di migliaia di soggetti, che esercita il potere a suo esclusivo vantaggio, ignorando totalmente le conseguenze delle proprie decisioni e i loro effetti sul futuro del pianeta. Alla base, dopo la distruzione programmata del ceto medio, si collocano invece tutti gli altri, una massa di otto miliardi di sudditi, sostanzialmente privi di sovranità e impossibilitati a prendere qualsiasi decisione effettiva.
Tra costoro comprendiamo pure i dirigenti politici di tutte le Nazioni, grandi o piccole, ormai ridotti a semplici marionette mosse dai fili, in mano agli gnomi della finanza globale. Questi ultimi si sono infatti impadroniti perfettamente delle leve di comando della cosiddetta democrazia rappresentativa, che manovrano a loro piacimento. Di ciò facciamo quotidiana esperienza anche in Italia: quando un provvedimento del governo non piace alla cupola mafiosa, per farlo ritirare è sufficiente che essa provochi una settimana di turbolenze sui mercati, e subito i nostri dirigenti si affrettano a inchinarsi al suo volere. Perché agiscono così? La risposta è di una semplicità lapalissiana: per non assumersi la responsabilità di una recessione economica drammatica, con forte, inevitabile caduta del consenso elettorale.
Tale meccanismo, che nasconde un sistematico ricatto, rivela l’obsolescenza della democrazia parlamentare classica, fondata sull’istituto della rappresentanza. Questo era stato concepito, all’inizio, come garanzia del cittadino contro gli abusi del potere, e per un certo tempo ha effettivamente svolto tale ruolo, sia pure fra molti limiti e contraddizioni. Oggi non è più così. La delega in bianco, rilasciata con cadenza periodica dagli elettori ai propri rappresentanti, obbliga questi a una mobilitazione irrazionale permanente, in vista delle successive consultazioni. I provvedimenti assunti da organi legislativi così condizionati, corrispondono quasi sempre a logiche di immediato interesse, quasi mai a una equilibrata valutazione della realtà futura. La politica diviene perciò uno strumento di corruzione inevitabile, dato che tutti i partiti, di qualsiasi tendenza, sono costretti per sopravvivere a ricercare sistematici accordi con i potentati economici, anche se in palese contrasto col bene comune. Più volte ho definito tale modalità di comando una dittatura invisibile.
Pertanto, dobbiamo prendere atto che oggi non viviamo in una democrazia reale, bensì in un totalitarismo pratico, nel quale il potere è esercitato, in forma tanto più dispotica in quanto i suoi detentori sono invisibili e quindi irresponsabili, da un ristretto clan di finanzieri e banchieri d’assalto, dei quali i politici, i burocrati, gli stessi tutori dell’ordine e garanti della legge, sono oggi servitori , anche se inconsapevoli e loro malgrado. L’aspetto devastante della situazione non è soltanto la privazione della libertà a cui vanno soggetti i cittadini, ma il fatto che questa cricca di criminali sta conducendo il mondo intero verso una immane catastrofe, di cui ogni giorno si scorgono e si rafforzano i segnali. Ci troviamo perciò a una svolta radicale, da cui può dipendere la sopravvivenza del genere umano. Cosa fare, allora?
Tutto il passato ci insegna che quando un gruppo di potere diventa disfunzionale, ossia non assolve più al proprio compito di garante del bene comune, ma anzi se ne distacca talmente da diventare la peggiore minaccia per tutti, occorre sostituirlo il più rapidamente possibile. Il mezzo per raggiungere tale scopo è di solito la rivoluzione. Non vi è alcun dubbio che, al punto in cui sono le cose, di una rivoluzione ci sia oggi assoluta necessità. Sì, ma quale? Un semplice cambiamento di classe dirigente non basta più. Che siano gli uni o gli altri al governo, la situazione non muta nella sostanza: occorre invece modificare alla radice il modo di prendere le decisioni comuni. L’oligarchia può essere vinta unicamente se la cosiddetta società civile, ossia l’insieme dei cittadini che lavorano, producono, organizzano servizi e concepiscono idee, si riappropriano della sovranità fin qui delegata ai loro rappresentanti, esercitandola in prima persona. Non per nulla molto parlano di democrazia diretta.
L’uso di questo termine nasconde tuttavia equivoci e pericoli. Qualcuno sostiene che essa si identifichi con una manifestazione di volontà tramite la rete informatica, e che questa possa sostituirsi alle istituzioni rappresentative. Nulla di più falso. Sappiamo bene, infatti, come sia facilmente controllabile e manipolabile la rete, esposta agli attacchi degli hacker, e infine come non si possano obbligare tutti i cittadini a dotarsi di un computer (per gli stessi motivi che una volta sarebbe stato impensabile costringerli tutti ad abbonarsi alla televisione) e a saperlo usare. La democrazia deve valere pure per gli analfabeti informatici. L’altra grande illusione è che le istituzioni possano essere sostituite da un continuo ricorso allo strumento referendario. Il referendum è valido se rappresenta l’eccezione e non la regola, essendo oltretutto impossibile che il cittadino comune debba intendersi di ogni cosa, inclusi argomenti tecnici altamente complessi che sfuggono alla sua preparazione. Il solo modo realistico di cambiare la formazione delle decisioni, non più dal vertice alla base ma dalla base al vertice, è affiancare, alle istituzioni rappresentative tradizionali, parallele istituzioni partecipative, ciò che avviene nel caso della doppia rappresentanza, partitica e organica, per cui una Camera continua ad essere eletta sulla base di liste proposte dai partiti, mentre l’altra diviene espressione della società civile, ossia di tutte le categorie di cui essa è composta, con delegati scelti da quelle col criterio delle specifiche competenze tecniche e professionali. Ciò in una linea gerarchica che dalla base giunga fino al vertice. La doppia rappresentanza, politica e organica, non può limitarsi al Parlamento nazionale, ma per dispiegare in pieno la sua efficacia deve estendersi a tutti gli enti locali, dal Quartiere alla Regione.
Fin qui abbiamo descritto una struttura statuale partecipativa, che però non esaurisce l’intero processo di cambiamento indispensabile per rovesciare la cupola mafiosa. L’altro aspetto di questa rivoluzione antropologica è la socializzazione di tutte le organizzazioni, private e pubbliche, in cui si esplica il lavoro umano. Autori classici, sia di destra che di sinistra, hanno infatti prefigurato una società nella quale dirigenti, dipendenti e azionisti partecipino con assoluta parità di diritti al governo delle strutture in cui prestano la loro opera. Queste, poi, connettendosi tra loro e partecipando le une negli organi decisionali delle altre, dovrebbero dar vita a una comunità integralmente organica, nella quale le decisioni vengano prese da tutti i cittadini, sia come soggetti politici, sia come soggetti economici e sociali. L’insieme di tali provvedimenti potrebbe davvero abbattere la dittatura oligarchica che ci opprime e dar vita a una democrazia compiuta, o politìa, per dirla con Aristotele. Il risultato ultimo di simili trasformazioni sarebbe la progressiva scomparsa della contrapposizione fra settore pubblico e privato, ossia fra pensiero collettivista e pensiero individualista. È ovvio che simile rivoluzione, per produrre integralmente i suoi effetti benefici, dovrebbe essere realizzata in più Paesi e non in uno solo, ma da qualcosa dobbiamo pur cominciare!