[APPROFONDIMENTI]: la terra della sovrabbondanza

 

[APPROFONDIMENTI]: la terra della sovrabbondanza

Noi viviamo sopraffatti dal numero, somma indefinita di tutte le individualità che non si compongono mai in un Noi: questo mondo è infatti il regno della quantità o, con una nota di sarcasmo, la terra della “sovrabbondanza” e il male più grande è non esserne consapevoli. La presente umanità – salvo rarissime eccezioni – è un malato terminale convinto di essere sano!

Sin dall’infanzia abbiamo rovesciato il principio dell’educazione che è appunto un “condurre fuori” ciò che è ancora segreto nell’anima del fanciullo in favore del riempire la stessa come fosse un enorme sacco vuoto. E così proseguiamo, per tutto il corso della vita. A volte nel sacco ci finiscono idee, immagini e sentimenti ordinati, il più delle volte confusi e fuorvianti. Accade infatti assai di frequente che un sano principio conviva con elementi sovversivi, senza che la persona ne sia cosciente. Il “pluralismo” vi regna quindi, anche in coloro che credono di poter ostentare una cristallina coerenza.

L’uomo siffatto è tutto rivolto all’esterno e tratta allo stesso modo perfino le “questioni di fede”. Essere estroversi è in tutta verità una delle caratteristiche che possono ben identificare l’uomo “adatto” a vivere in questi tempi: è l’uomo che non ha risvegliato la sua anima, illudendosi persino di poter ugualmente raggiungere lo Spirito.  La pseudo-società, somma di infinite monadi in competizione tra loro, ha bisogno e nutre solo questo tipo d’uomo. L’impianto stesso del percorso formativo e del mondo del lavoro ne sono una chiara conferma. È l’uomo che mantiene a galla questo “folle mondo”, che ostacola – troppo spesso anche in buona fede – ogni spinta di trasformazione; è l’uomo che sa guardare solo avanti a sé, perché non ha mai imparato a cadere, che non accetta che per divenire pienamente se stessi bisogna attraversare un labirinto e non correre su di una strada diritta. Questi uomini sono ovunque, trasversalmente presenti in ogni conventicola di qualsivoglia colore. Sono la modernità, ovvero il mondo che ha distrutto l’universo mitico dove ogni cosa trovava il suo giusto posto; le altre bandiere sono aspetti del tutto secondari. Sono il vero muro da abbattere, la parete di acciaio e cemento in cui scorgere una crepa, se si vuole ancora coltivare una speranza che sia fattuale e viva. Nulla può cambiare al di fuori che non sia già mutato all’interno.

Vi è una sola strada da tracciare, una strada eroica e opposta: quella dell’introversione. Essa non è banalmente lo sbiadire di qualunque energia che si spande sugli altri e sul mondo o il ripiegarsi narcisistico di una psiche indebolita, ma l’atto necessario per una vera ascesi, per la vera ed unica realizzazione dell’uomo.

Se l’estroversione è annegare nella molteplicità, l’introversione è raccoglimento nell’unità. La prima contraddistingue il regno della quantità perché poggia sull’ego, il quale non possedendo un centro vaga insaziabile nella folla delle emozioni e delle “idee da poco”. Questa propensione è la matrice dell’individualismo, unico atteggiamento consentito all’interno del liberismo terminale che ci viene imposto come la sola via percorribile e che invece uccide la dignità dell’uomo. L’odierna “cultura” e un certo “esperienzialismo religioso” ne sono, ahimè, le colonne portanti. La Verità – quella tutta intera – qui non passa; attraversano la soglia della coscienza solo brandelli. L’ego non potrebbe sopportarla, del resto. È solo in questo modo che possono convivere, ad esempio, nel medesimo individuo le battaglie in difesa della sacralità della vita, della famiglia, con la supina obbedienza al presente modello socio-economico. O la diffidenza se non il rifiuto verso qualunque forma di progressismo culturale, con il più fervido apprezzamento di ogni prodotto pseudo-artistico sprizzante sgradevole sentimentalismo ma che che veicola i “veri valori”.

Sono uomini impermeabili alla vera luce, quella che buca le apparenze e raggiunge le profondità dell’anima. Sono uomini che non si getteranno mai dalla torre che hanno con fatica costruito, sia essa professionale, economica o “religiosa”. Nessun argomento, nessuna evidenza li farà vacillare, poiché essi conoscono solo quello che in realtà “vogliono sapere”.

Per accogliere la luce è necessaria la giusta disposizione interiore. Il volgersi all’interno di se stessi, è concentrare lo sguardo su un punto, nascosto nel profondo, che è l’Uno, dentro di noi, il nostro Nome segreto. È sottomettersi alla forza delle immagini, piuttosto che domare mille concetti. È ricomporre quell’universo mitico popolato di simboli che, solo, fa sì che ogni storia divenga una storia sacra, perché in fondo la vita è ricerca e attuazione della propria identità. Allora il sacco verrà vuotato, gettando dalla finestra tutto il superfluo che non può convivere con la propria elezione fondamentale. E lo sguardo sul mondo sarà uno sguardo di chi cerca corrispondenze e affinità. Per quanto possibile, tutti gli sforzi saranno indirizzati ad armonizzare il mondo esterno con quello interiore, sia nella sfera personale che ancor più in quella sociale. Gli uomini che hanno trovato il loro centro sono in effetti estremamente selettivi. È il loro daimon che lo chiede!

Nella folla senza volto, uno sguardo umano, andiamo cercando; lo sguardo di chi sente che non può perdere nulla perché forse ha affrontato la morte in anticipo. Bisogna andare in cerca di chi ancora possiede questi occhi, la giusta disposizione interiore, ed è pronto a lasciarsi “svuotare” di tutto. Per “vedere”, occorre prima farsi vuoti. Sì, come la Sacra Coppa pronta per ricevere il Sangue Divino. Spesso, proprio gli uomini “di cultura” sono i più lontani da questa dimensione, essendo la cultura moderna, profana e non, solo una farsa.

Un’ultima avvertenza, che meriterebbe un saggio a parte, si rende quanto mai necessaria: nessun cammino si può tracciare senza l’opera vivificante di un maestro. Questi lo si sa riconoscere solamente se prima accettiamo di cadere, fiduciosi di guadagnare la risalita. E il cammino avrà fine solo al termine di questo viaggio. Non esistiamo nel regno dello Spirito senza la paternità spirituale! In due si cammina verso la sapienza, così come in due si genera la vita, ma nell’Uno che tutto attira a sé, si vince la morte.

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