Si contano i giorni di guerra, è il mantra mediatico sul conflitto “ibrido”in Ucraina, i Paesi NATO più la Francia alzano la ghigliottina delle sanzioni sempre più in alto, speranza o puerile illusione che sul collare sia assicurata la testa di Mad Vlad, il dittatore definito nazifascista da una memoria cortissima dei compagnucci nostrani circa la biografia de l’ ex colonnello del KGB, socialista convinto, alfiere del revanscismo russo nel riconquistare territori de l’ ex Unione Sovietica, ridisegnando la mappa dell’Impero.
L’aggressione all’Ucraina era in agenda dal 2014 e ribadita spulciando un saggio dello stesso Putin pubblicato il 12 luglio 2021 dal titolo “Sull’unità storica tra russi e ucraini”, analisi delle prove documentali addotte dal leader del Cremlino sul perché il Paese di Ivan Franko debba ritornare, da figliuol prodigo, alla Madre Russia stracciando la pretesa indipendenza e sotterrando il desiderio di un abbraccio mortale (per Mosca) con l’UE e la NATO. Il modello geopolitico russo è invariato nel tempo, è quello Pietro I il Grande imperatore di tutte le Russie, ma anche quello del georgiano Stalin condottiero della resistenza sovietica al nazismo, di Nikita Kruscev e Leoníd Bréžnev invasori di Ungheria e Cecoslovacchia con modalità copia e incolla al presente ucraino.
Nella tragedia di Kiev leggiamo l’eterno ritorno di un Occidente compatto nella condanna ma operativamente col freno a mano tirato per scongiurare un conflitto mondiale che equivarrebbe a un’Apocalisse dell’umanità; esternazioni verbali, manifestazioni arcobaleno, sanzioni e grida: “al russo, al russo!” seppure attaccati alla sua canna del gas, esternazioni che, in una guerra, sono cure palliative per un Paese nel quale le città colpite, conquistate, aprono metastasi sul territorio e la popolazione sciama alla ricerca vitale di salvezza con esodo biblico del quale l’Europetta dovrà farsi carico forse per anni. Abbiamo toccato con mano l’inutilità dell’ONU (omette in agenda persino i termini guerra e invasione), la diplomazia occidentale ha il peso specifico dell’elio, in più va in ordine sparso fino al paradosso che le democrazie cercano intermediari autorevoli tra i dittatori con occhi a mandorla o col fez, non importa, persino al “super distruttore del Venezuela”, Nicolás Maduro, ora gli U.S.A. lisciano i baffi per un po’ d’oro nero.
In guerra non si caricano cannoni con petali di fiori e le parole valgono zero contro il sibilare dei proiettili, il suono delle sirene, il tonfo cupo di grappoli di bombe, l’Europa è nuda nel tunnel del conflitto, barcolla avanzando a tentoni alla ricerca di un bagliore di pace in nome di valori anoressici, pelle e ossa, democrazia e capitalismo, larve nutrici de l’ homo technologicus, piatto, generato nell’utero della globalizzazione foriera di un’umanità colpita dal cancro del progressismo evacuatore d’ ogni truciolo residuo di valori della tradizione.
Si sta alla finestra lanciando moniti e invocazioni, la NATO non si può muovere in base all’art. 5, no fly zone, armi leggere sì, armi leggere no ai combattenti ucraini, Macron telefona ogni giorno a Putin gonfiando le penne della Gallia, Biden proibisce la vodka, lo spettinato Boris veste i panni di William Wallace, Draghi s’accoda all’UE da yes man, d’altronde rappresenta un Paese che non conta un c….
Personalmente sto dalla parte dei bambini, gli indiani aggrediti dall’orso di Leningrado, con la benedizione del drago, ma anche dalle ali progressiste dell’aquila americana, sto con le romantiche bottiglie molotov e i kalashnikov della resistenza ucraina, immagine dell’hidalgo folle contro i mulini a vento, contro i grandi cervi che incrociano le corna per inseminare il mondo con civiltà profondamente distanti e un dubbio ci sovviene: chi sono i veri mongoli del XXI secolo?
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