Ascesa e ascesi

 

Ascesa e ascesi

Epistola di Francesco Petrarca in cui si descrive l’ascensione al monte Ventoux (Ventoso) in Provenza dove il poeta rende unitaria la descrizione della natura con il piano trascendente quale realizzazione di sé. Tema, quest’ultimo, che ispirerà il Secretum, ove l’influenza di Sant’Agostino si fa palese e diviene premessa e monito, attuale, a tutti coloro che vivono insofferenti la banalità del quotidiano. Su cartolina un’amica volle donarmi, al termine di una breve e disastrosa relazione, questa espressione del Petrarca, appunto: ‘Sentio inexpletum quoddam in praecordis meis semper’. Ed io ne avverto la vicinanza alle mie insaziabili inquietudini…                                                               

Scrive: ‘… io soprattutto m’arrampicavo per il montano sentiero con passi più moderati, mentre mio fratello per una scorciatoia attraverso il crinale del monte saliva sempre più in alto: io, più fiacco, ridiscendevo verso il basso, e a lui che mi chiamava mostrandomi la via giusta rispondevo che speravo di trovare un più facile accesso dall’altro fianco del monte, e che non mi rincresceva di fare una via più lunga ma più agevole’. (Nel diverso atteggiamento il significato allegorico: il fratello Gherardo si fa prossimo a sottrarsi dalle lusinghe del mondo, mentre Francesco induce e, in fondo, si culla nell’indecisione, avvinto dal linguaggio del corpo).                                                           

Ascesa e ascesi. Alpi bellunesi, ad esempio. Quando il sudore scivola lungo la schiena e dal sopracciglio stilla goccia a goccia a bruciare gli occhi il fiato si fa corto la bocca s’impasta le gambe s’induriscono negli scarponi le dita dei piedi sembrano prendere fuoco. E, intanto, ti insulti ‘che cazzo ci faccio qui? In città ho la macchina mi sposto con l’autobus scendo in metropolitana’. Quasi godendo in autocommiserazione ‘ora, sai che ti dico, mi fermo mi acciambello simile a verme su pietra me torno indietro’. Facile giustificarsi, l’assoluzione pronta. E, poi, insorge una vocina, maledetta! si insinua insiste come ‘magari arrivi fino a quell’albero solitario, un po’ oltre, ancora pochi metri dei minuti, dai…’. Piccola vittoria. E riprendi il cammino. Avanti.                                

Curioso di vetrine e interno di librerie. Ho acquistato – ormai sono oltre trent’anni – in edizione raffinata, cofanetto e carta velina, La salita del Monte Carmelo, apice della mistica barocca e non solo, di San Giovanni della Croce, il cui titolo rimanda, va da sé, all’ascesa quale ascesi. ‘Notte che mi hai guidato| – O notte amabil più dei primi albori – O notte che hai congiunto – l’Amata con l’amato, – l’amata nell’Amato trasformata!’. Ascesa e ascesi si fondono; il linguaggio del corpo rende vivo lo spirito mai domo; mettersi in gioco… Essere in cammino, essere contro. Per questo fummo educati alla montagna – al cerchio con il fuoco il canto il senso austero del gesto – a rispettare e onorare il Solstizio – attendere l’alba sicura per volgersi verso il sole la luce e accoglierlo a braccio teso.

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