Camerata Richard

 

Camerata Richard

Se non fossi un primitivo con il computer, il 10 giugno scorso, avrei voluto ricordare gli ottanta anni dall’entrata nel secondo conflitto dell’Italia, condividendo la canzone Camerata Richard. E scrivo dell’Italia e non di Mussolini, come si dilettano i mediocri e ignavi e miserrimi ex (mai) colleghi di storia con il vizio, pari alla statura dei nani, di ridurre ogni accadimento quasi a gesto insano e arbitrario del solo Duce, mentre del consenso fanno volentieri dimenticanza. (A sera, in televisione, su Focus, gli italiani in guerra, titolo Lili Marleen, che è più evocativo e comprensivo. Lili Marleen – credo risalga al 1938 – inoltre non piaceva al dottor J. Goebbels, che la trovava d’intimismo passatista, per dirla con i futuristi, e di sentire poco guerriero. E questa avversione la rende, va da sé, “simpatica” ai nani di cui sopra. Il caso volle che, occupata Belgrado e la radio dai tedeschi, costoro vi trovarono il disco e lo trasmisero tra un comunicato e l’altro. Così resa celebre, venne avvertita da ogni combattente, qualunque fosse la divisa indossata, espressione del soldato al fronte).                                                                  

Non so se e quanto Camerata Richard ebbe ascolto e successo. Visto come si sono svolti gli accadimenti – l’8 settembre sugello triste ed infido – forse sarebbe stata da parte mia un anacronismo da bacchettare sempre da parte di quei nani che sono ovunque e su tutto hanno da metter becco e pigolio. Io però degli indecenti e servili, come li ho definiti in Stile ribelle, me ne curo poco e nulla e, simile al mio amico lo spadaccino e guascone dal gran naso e l’abile tocco di spada, me ne vado per la mia strada e in groppa, come l’altro mio sodale il cavaliere del sogno, di Ronzinante.                  

Insomma: mi piace pensare al cameratismo – e mi tornano a mente quanto scriveva Drieu la Rochelle sull’amicizia figlia del pericolo nelle ultime pagine del suo libro più compiuto, Gilles. O analoghe considerazioni di Robert Brasillach nella cella n.77 dei condannati a morte. In questa ristrutturazione sociale, effetto della pandemia reale o indotta, nella atomizzazione del gregge (folla e non più neppure massa, come ci mostra E. Ricucci), dove l’ordine reiterato è “mantenere le distanze” (ovviamente non nel senso aristocratico e nietzscheano!), quel “camerata Richard” diviene ben più e oltre il dato storico della comunione (difficile) tra un feldgrau e la camicia nera sotto il grigio-verde. Ecco perché il 10 giugno non è una scadenza storica, con annesse le contorsioni dei sottoprodotti a largo consumo, ma un invito a rendere le comunità di fratelli dura tenace integra forma di “resistenza”, simili a quei due combattenti che si rendono “camerati d’una sorte”…

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