Cerchi nell’acqua del tempo

Cerchi nell’acqua del tempo

Platone ricorda come il suo maestro, Socrate, riconoscesse l’importanza e il disagio di affrontare il pensiero del filosofo di Efeso, quell’Eraclito che, appunto, è passato alla storia con il soprannome de ‘l’oscuro’. A noi pervenuta l’opera sua in frammenti, in aforismi, alcuni dei quali celebri e a fondamento di riflessione nel corso dei secoli.

Si pensi, ad esempio, ad Hegel o, in tempi più prossimi, al corso di lezioni – tredici in tutto – tenuto nel semestre invernale 1966-’67 presso l’università di Freiburg in Breisgau da Eugen Fink, di cui qui annoto come meritevole il suo lavoro su Nietzsche e con la partecipazione di Martin Heidegger – e questo fu il suo ultimo impegno da docente universitario. Celebri sono gli aforismi intorno alla ‘guerra madre d’ogni cosa’ (il termine greco ‘Polemos’ ha una valenza meno riduttiva dovendo intendersi quale ‘contrasto’) e quel ‘tutto scorre’ che, in effetti, si suppone appartenesse ad un suo discepolo.

Studente di liceo venne proposto dal mio professore quale antitesi a Parmenide – quest’ultimo il filosofo dell’Essere mentre Eraclito del Divenire (qui non starò a battagliare con una interpretazione ove tanto vi sarebbe da dire e tanto da contestare). Sedicenne trassi solo il convincimento di lezioni monocordi e, se divenni in-segnante, lo devo al professore di greco che seppe far vibrare le corde del mondo delle emozioni verso la cultura e non solo per le donne i manifesti incollati di notte e le prime risse neri e rossi ‘l’un contro l’altro armati’, spiegando il senso dell’origine della tragedia, Apollo e Dioniso, e spingere le mie fragili ali al folle volo.                         

Rassicuro subito i lettori, quella quindicina a cui invio i miei pezzi per strappare loro un ‘mi piace’, che non dovranno gravarsi di un Bignami su Eraclito, ma solo due o tre considerazioni su uno dei suoi frammenti tanto per riempire lo spazio che mi riservo ogni settimana a firma Bastian Contrario. Ha scritto: ‘Il tempo è un fanciullo che gioca, muovendo le tessere di una scacchiera; la signoria è di un bambino’.

E ritrovo Le tre metamorfosi del padre di Zarathustra dove l’uomo si rende cammello, vittima della gravosa legge del dovere (eco di quella legge morale difesa da Kant, a cui si sottomette sotto il cielo stellato); l’uomo si erge, simile al leone, con l’affermazione del proprio volere che l’incatena però alla sua cieca voracità, forza estranea (con la rottura da quel mondo proposto da Schopenhauer); infine rinnovarsi in quell’essere bambino che, nel gioco, trasforma il mondo secondo i propri desideri – gli ideali e i sogni che ci preservano giovani e liberi. E, nel gioco, il tempo stesso scandisce un ritmo ove l’uomo-bambino non è più vittima delle circostanze ma lo sottopone a sé medesimo. E, però, il tempo ci costringe a vivere dicendo sempre addio (rivelatore il verso di Rilke). Qui mi taccio. Il sasso è stato lanciato nello stagno a produrre cerchi: quanti e quanto larghi e distanti li lascio a un dopo e ad altri…

 

Immagine: www.dire.it

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