Comunità e globalismo

Comunità e globalismo

 Il potere globalistico, come possiamo vedere anche dalla surreale situazione delle trattative per il governo dove non ci si vergogna più di considerare l’Italia una provincia dell’unione europea e dei poteri forti che la controllano, deride la comunità, al massimo le concede il confino in spazi privatistici. Questo perché comunità viene da cum-munis, dove il munio è tanto il dovere e il servizio che il dono (essere munifici, appunto). E a sua volta il termine rimanda alla difesa, da cui moenia, le mura. Quindi la comunità è per definizione una realtà che si raccoglie intorno a un centro ed esprime perciò una specificità che la differenza, ma non certo per renderla superiore, dalle altre che gravitano intorno ad altri centri; rispettare e onorare la propria specificità, infatti, implica rispettare e onorare quella altrui e non a caso la xenofobia è stata una creazione del mondo capitalistico-borghese.

Per la stretta connessione tra comunità e identità, i centri mondialistici del potere economico che hanno ormai pervaso i centri di decisione politica, lavorano instancabilmente da tempo per sradicare il sostrato comunitario delle relazioni umane in modo da produrre masse di generici cittadini del mondo e utilizzarle come nuova carne da cannone della tirannide consumistica. Per questo si considera anche superata la stanzialità dell’abitare, in quanto scelta diseconomica che riflette l’unità originaria tra l’uomo e il luogo di vita; e come Anteo riceveva forza dal contatto con la madre terra, così il nuovo Ercole della globalizzazione deve sollevarlo per poterlo stritolare.

Così assistiamo a continui inviti ai giovani affinché si dedichino allo studio dell’inglese, ma non per approfondire la cultura di quella parte del mondo – gioco che poi, ma è un giudizio personale, non varrebbe la candela – ma per potervisi trasferire per lavoro e spesso come bassa manovalanza. Oppure assistiamo a dichiarazioni folli in merito allo stile di vita dei migranti – la migrazione come stile di vita! – che presto dovrebbe essere quello della maggior parte degli umani. La continua migrazione dei popoli, infatti, è funzionale alla cancellazione della comunità tradizionale fondata sulla solidarietà e non sul profitto, che rifiuta l’ipocrisia dell’accoglienza indiscriminata che ha tutte le caratteristiche dell’adescamento, per basarsi piuttosto sul confronto e non sulla retorica della tolleranza che vuole fare dimenticare che organicità comporta rifiuto dell’appiattimento unanimistico.

L’ideologia mondialista teme l’appartenenza alla terra – e già Nietzsche invitava a restare fedeli alla terra – perché il riscatto può venire solo da un popolo in cui l’abitare una terra sia appartenervi e non un domicilio provvisorio. Come Heidegger ha detto nel libro-intervista Ormai solo un dio ci può salvare: secondo l’umana storia ed esperienza, tutto ciò che è grande ed essenziale è scaturito unicamente dal fatto che l’uomo aveva una patria ed era radicato in una tradizione.

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