Non si tratta certo di accreditare il fatto che nel mondo antico si considerasse l’infanzia una malattia, ma comunque la si considerava come un’opera incompiuta, quasi una materia che il maestro doveva lavorare per ottenere la più bella forma possibile. Per questo la pedagogia greca non aveva sensi di colpa verso il bambino. Trattarlo con la necessaria e misurata durezza costituiva infatti la premessa per donargli un’esistenza adulta sana e completa. Così, e per molto tempo nella nostra civiltà, anche la morte di un bambino veniva vissuta come l’innaturale decesso di chi doveva piuttosto accompagnare i genitori nell’ultimo viaggio che non esserne accompagnato, ma non era una tragedia totale. E questo sia perché di bambini se ne facevano moti, sia perché si considerava una perdita maggiore la morte di un uomo adulto, inserito nelle attività produttive ed esercitato nella guerra.
Nel Medioevo, poi, la pedagogia era intesa come un atto di carità, capace di far uscire da uno stato di totale dipendenza. Quello di bambino non era uno status a parte, come dimostra il fatto che non si concepissero dei giocattoli: i bambini utilizzavano gli stessi attrezzi dei grandi, ovviamente in un formato adatto alle loro dimensioni. Né si deve dedurre da questo che il ruolo del bambino venisse sminuito o umiliato, come è dimostrato dal fatto che nel Medioevo molti contratti non avevano validità giuridica se non recavano la firma di tutti i componenti della famiglia, bambini compresi. Naturalmente possiamo pensare che all’assenso il bambino non arrivasse in autonomia, ma è comunque significativo di una cultura, quella dell’Età di Mezzo, che pur non sdilinquendosi davanti all’infanzia, la teneva comunque in considerazione.
La pedagogia contemporanea considera un fondamentale progresso essersi allontanata da questa considerazione del fanciullo. Ora, all’opposto di questa considerazione c’è la pedagogia che chiameremo del “senso di colpa”; ovvero una visione educativa, dalla quale consegue l’attuale pratica, che considera crescere e divenire adulti quasi una colpa e una “perdita” l’uscita dalla sfera esclusiva dell’affettività e una “violenza” l’ingresso nella razionalità. Di questa pedagogia dovremo capire le origini, riprendendo, in senso lato, il metodo storico-genealogico di cui parlava Nietzsche, al fine di demolire le presunte verità protette dalle alte mura del politicamente corretto e separate dal buon senso da un profondo fossato.