La distinzione tra privato e pubblico che l’ideologia liberalcapitalistica ha prodotto dal Settecento avverte, sempre di più, l’usura del tempo. Lo spazio infatti tra i due ambiti tende a restringersi sempre di più nelle società contemporanee che, in quanto società liquide, tendono ad annullare lo spazio tra pubblico e privato. Basti vedere quante rivendicazioni assolutamente privatistiche, come quelle attinenti alla sfera sessuale, richiedano sempre di più a gran voce un riconoscimento pubblico che nelle loro intenzioni vale come legittimazione di determinati comportamenti e azioni.
Credere quindi possibile un’educazione che contemporaneamente esalti i diritti individuali di un singolo inteso come atomo irrelato di una società amorfa e induca in quello stesso singolo i doveri di cittadinanza è solo schizofrenia. Il soggetto di questa educazione è l’uomo quale si vorrebbe che fosse in un disegno ideologicamente astratto, non l’uomo qual è. Privata di un soggetto reale, la stessa educazione perde la realtà, evapora in un profluvio di parole e concetti assolutamente improduttivi perché disancorata dalla realtà effettuale. Un esempio è dato dalle tante parole che circondano la scuola al tempo del Corinavirus, dove una situazione appena tollerabile in una situazione di emergenza viene spacciata come un salto nel futuro.
La cosiddetta didattica a distanza è negazione della socialità, dell’inclusione, delle dinamiche psicologiche del gruppo di pari, di fondamentale importanza nella crescita; è negazione, cioè, di tutte le parole di cui ci si è riempiti la bocca negli ultimi decenni. Eppure, senza nessun imbarazzo, viene contrabbandata come “opportunità” (di cosa?), come necessario aggiornamento digitale di un modello educativo del passato, mentre a qualunque persona di buon senso dovrebbe essere chiaro che il confronto e anche lo scontro sono dinamiche relazionali di importanza cardinale per uno sviluppo sano della personalità. Il sospetto che emerge è quello che si voglia mantenere un modello che lascia ognuno chiuso nella sua individualità irrelata dove gli altri sono al più un quadratino sullo schermo di un computer, nell’impossibilità di maturare uno spirito critico ed essere quindi sempre più plasmabili dagli stimoli esterni, privi di difese di fronte a messaggi terroristici che invitano a stare chiusi in casa posponendo la dignità alla vita e subendo una pedagogia da maestrine d‘asilo che minaccia di chiudere i parchi se le persone dimostreranno di non “meritarseli”. Sono sospetti che disegnano una realtà distopica peggiore di tanti incubi.