È la domanda che Lev N. Tolstoj si pose toccando con mano la terribile miseria dei kulaki russi quanto degli “scartati” urbani nascosti nella metropoli di Mosca, ne nacque un saggio politico-economico pubblicato nel 1886, denso di riflessioni su povertà, genesi e sviluppo della ricchezza causa delle disuguaglianze sociali. Questa stessa domanda la si pose anche Lenin nel lontano 1902, essa perciò martella non da oggi la mente di chi ha immaginato e immagina, nonostante tutto, una Patria di reale equità socio-economica alimentata da radici profonde nello Spirito, però, meschino, non ha le chiavi del pozzo per irrigare gli orti mentre il deserto avanza. Che fare?
E’ tempo d’estate, varcato il solstizio evapora la memoria, i pensieri riposano nelle case vuote, li si scaccia via dalla mente su spiagge, città d’arte, sentieri montani godendo di quel sospirato: finalmente! Ci avviamo a un periodo sacro ai romani, feriae Augusti, 1-25 dell’omonimo mese, in realtà i giorni di riposo dei cives coprivano la metà dell’anno tra feriae publicae, festività singole obbligatorie, ludi singoli e raggruppati, e quel luglio dedicato al divo Cesare.
Una premessa a dire che l’unica tradizione romana, incardinata nel DNA italiano sembra sia rimasta la vacanza, la sospensione da ogni attività lavorativa, di studio, di doveri, ecc. ivi compresa la maledetta politica istituzionale… e meno male!
L’agognato riposo espelle da sé preoccupazioni, problemi, il riccio di città chiuso a difesa de l’ ego ora s’ apre al tepore del sole, si bea alla frescura dei boschi, annusa un bene perduto, la naturale libertà e con essa la dignità primigenia piegata da mille incombenze e servigi riposti pro tempore negli armadietti, settembre già d’ora è un pensiero molesto da cacciare al pari d’ una fastidiosa vespa.
S’adattano, a parer mio, infatti a questa gotica premonizione autunnale i versi del poeta: Si sta come/d’autunno/sugli alberi/le foglie (G. Ungaretti, Soldati), precipiteremo all’inferno dei poveri, ci manterremo nel purgatorio dei meno abbienti, sarà di nuovo lockdown, chissà? Ciascuno di certo indosserà carni e fatica inutile del dannato Sisifo, il masso italico è gigante, la salita assai impervia ma soprattutto gli “eletti” rinchiusi in Parlamento renderanno vano ogni sforzo, lasciandoci, in apparenza, tre pertugi, nascondersi come i derelitti di Tolstoj, la fuga o l’umile servaggio.
Pur in stato ipoglicemico da riposo, una domanda ci pugnala la testa: che fare dunque? Baloccarci tra gli sparsi frammenti del passato, sputare all’oggi non sapendo invero come dargli un futuro oppure segnare una tercera via a tutto questo? Un tratturo sul quale incamminarsi con amici di fede comune per trasferire questo gregge stanco, deluso, dal deserto a valli verdi coltivate con antica sapienza, c’è questa traccia di speranza sul terreno? Lasciando nel cassetto ben chiuso il fu, quell’oggi che c’è davanti è complesso, intricato più d’una foresta pluviale, groviglio virtuale di interconnessioni dove ragni velenosi hanno filato indisturbati tele protetti da norme scritte e approvate da loro per catturare noi, gli insetti, fagocitarci ed ingrassare, e per assurdo siam felici di questo convinti che aggrapparsi a quei fili di bava sia la nostra salvezza.
Così l’unica ribellione emersa è passiva, rintanarsi nel guscio della tartaruga finché il pericolo tiri lungo, scacciando i mosconi dell’impegno, eppure Giorgio Gaber ci ammoniva: “la libertà è partecipazione” non infinita delega o ancor peggio astensione, testimonianza di viltà egoista di chi se ne sta saldo sul proprio ramo infischiandosene dell’albero.
Gustiamoci le meritate ferie e quella libertà animale, anarchica e gioiosa che le accompagna il poi però riprendiamocelo, è nostro, non può esaurirsi con una pausa nella corsa impostaci da oligarchi e arbitri in tribuna, è vero le ideologie sono oramai arnesi arrugginiti mentre l’homo techno programmato nei laboratori digitali è un mostro, senza anima e cervello propri. Resuscitare l’uomo riportandolo dai fondali in superficie, ripulirlo d’ ogni incrostazione perché riacquisti appieno la sua dignità divina, che non è in vendita al mercato, è sfida titanica, certo, necessita di fede cieca e tanto, tanto coraggio, David contro il gigante si ripete, per questo al pacifista Tolstoj sento di dire: maestro, oggi è il tempo della fionda non del ramoscello d’ulivo.
Che fare dunque? Essere ribelli nell’io e nel noi, la e congiunge appunto non separa.
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