Covid-19 e crisi dei modelli globali di consumo

 

Covid-19 e crisi dei modelli globali di consumo

Possiamo dare per scontato che, nelle prossime settimane, l’emergenza sanitaria provocata dal Covid-19 si trasformerà prima in emergenza economica e poi in emergenza sociale. D’altra parte è innegabile che non ci sia debito pubblico nazionale in grado di reggere all’onda d’urto provocata dalla pandemia. Siamo all’ultimo giro sia dell’Unione Europea sia della globalizzazione per come sono state rispettivamente realizzate e intese.

Ma perché siamo arrivati a questo punto? Essenzialmente perché negli ultimi tre decenni la cultura globale inoculata ai popoli europei dall’elite mondialista è stata essenzialmente una cultura del consumo volta a recidere le radici della tradizione.

Il sogno di un ecumene secolarizzato si è irreversibilmente trasformato nell’incubo del dumping sociale e della corsa al ribasso delle condizioni economico-sociali, causa diretta della globalizzazione appositamente non governata secondo i dettami del neoliberismo.

I modelli imposti sono stati diametralmente opposti e configgenti rispetto le gerarchie simboliche policulturali e gli schemi classificatori policentrici prodotti dalla millenaria civiltà europea. Di ciò ne avevamo avuto un’anteprima nella Penisola del tanto incensato boom economico durante il quale l’unico vero miracolo palesatosi è stato quello di privare dell’anima la civiltà della parsimonia trasformandola «nell’Italia delle automobili, della pubblicità e della Coca Cola», come scrisse Giorgio Bocca in Miracolo all’italiana nel 1962.

L’indottrinamento consumistico ha formato un nuovo individuo privo di tradizioni, devoto solo ed esclusivamente al puro fatto economico: il profitto. L’homo oeconomicus è stato plasmato ad hoc in funzione della soddisfazione dei bisogni primari non in senso assoluto – intesi cioè dalla nostra cultura più prossima, legata all’autenticità dei valori –, ma per come li intendono i ricchi: lo spreco, il lusso, il capriccio edonistico, l’ostentazione.

Come lo sviluppo socio-economico spense allora l’Italia “del buon tempo antico” negli anni Sessanta e Settanta del secolo breve così, nei decenni successivi – a livello mondiale – si è perseguita una sistematica contrazione della partecipazione delle istituzioni collettive alle decisioni produttive e sociali, quest’ultime assoggettate alla logica individuale dei mercati ai quali è stata preclusa l’interazione con gli interventi pubblici.

Il tutto è stato giustificato in nome della lotta per il progresso, del miglioramento, della liberalizzazione, della tolleranza, del collettivismo, del buonismo. La contemporanea alienazione tecnologica attuata con la diffusione degli effimeri contenuti da parte dei mass media e del web ha distratto vecchie e nuove generazioni dal malevole mutamento in corso facendo accettare l’inaccettabile come bello, buono e giusto. Una degenerazione decisa dal potere consumistico di concedere una vasta, quanto falsa, tolleranza basata de facto sulla falsificazione di quei valori che avevano l’aria di essere soddisfatti.

In realtà, le trasformazioni insite nella globalizzazione hanno favorito un mutamento radicale della conoscenza economica: da scienza sociale consapevole dei propri limiti e del proprio livello di astrazione, essa è divenuta un’ideologia totalizzante, volta a porre sotto controllo la realtà realizzando un modello di società dell’interesse e del calcolo posta a valore di vita unificante e mentalità formante delle relazioni sociali. La mentalità economicistica è stata assunta come metro universale di costruzione di una nuova realtà attraverso l’esaltazione dell’interesse individuale e l’esasperazione del calcolo: la cartina di tornasole di tutto ciò è proprio l’Ue che predica solidarietà ma razzola ineguaglianza professando integrazione imponendo, invece, omologazione.

Ora, però, il Covid-19 ha bloccato tutto e lo ha fatto non solo facendo crollare i mercati e provocando il cortocircuito delle reti globali di commercio delle merci e di mobilità delle persone. Lo ha fatto fornendo un’opportunità unica all’uomo moderno di riappropriarsi delle forme della cultura che gli permettono di realizzare gli aspetti fondanti della sua umanità necessari per manifestare la sua personalità nelle relazioni della vita quotidiana.

Chiusi in casa come siamo, certo, ma lontani altrettanto coattivamente dal feticismo delle merci, dei mezzi, dei simboli del “pensiero unico” possiamo recuperare l’antica saggezza ancestrale che il totalitarismo economico con i suoi modelli globali di consumo ha finora contrastato con tutte le sue forze.

Torna in alto