Cultura del tramonto

 

Cultura del tramonto

“Mettimi come sigillo sul tuo cuore,

come sigillo sul tuo braccio;

perché forte come la morte è l’amore,

tenace come il regno dei morti la passione:

le sue vampe sono vampe di fuoco,

una fiamma divina!

Le grandi acque non possono spegnere l’amore

Né i fiumi travolgerlo.

                                            (Ct 2, 8-10.14.16a)

In questi versi del Cantico dei Cantici è contenuta tutta l’esegesi sul significato della vita, lo scrigno  è aperto, dentro c’è una sola pietra preziosa che splende come un diamante in mezzo al cuore canterebbe Mia Martini, calore della primavera dell’universo, seme che germoglia dalla madre terra.

Salomone scrive un inno all’amore tra l’uomo e la donna, non privo del fuoco vivificante della passione, l’eros in lotta contro thanatos, duello che si rinnova perenne dove la fiamma accesa non teme le acque perché il fuoco divino non può essere spento, non deve esserlo, sacralità di un compito per gli uomini che ne sono le vestali.

Omini, donnine nel piccolo Paese invece paiono eunuchi senza ardori, di figli non ne fanno, navigano nel letto alla ricerca del piacere, del Kamasutra studiano le posizioni per raggiungere l’estasi con la via umida, alla fin fine però, riassettate le lenzuola, resta ben poco, un condom da buttare perché il sesso, nel tempo del pensiero unico, in fondo è una macchina industriale con i suoi lauti profitti comprese pillole per mascherare figuracce o prevenire un figlio indesiderato.

Ci torna in mente un film di Ermanno Olmi L’albero degli zoccoli del 1978 (Palma d’oro al festival di Cannes), quattro episodi che narrano la vita di altrettanti nuclei contadini nella bergamasca, famiglia, fatica e figli tenuti insieme da una quarta f la fede, l’asta che ti fa saltare gli ostacoli del giorno, erano quei valori forti che i contadini di J. F. Millet recitano nel dipinto L’Angelus (1858), il lavoro nei campi conosce la pausa della preghiera in ricordo dell’incarnazione di Cristo nel ventre di Maria.

Purtroppo gli uteri delle italiane sono sempre più vuoti, ce lo certifica l’algida ISTAT ogni anno elaborando i dati sulle nascite nel Paese un tempo famoso per l’amore e i suoi numerosi frutti, un trend negativo ormai strutturale, mascherato dalla prolificità degli immigrati, siamo ultimi in Europa per natalità, fra 80 anni dicono i futurologi, gli italiani saranno la metà degli attuali e tutti vecchi, una civiltà che viaggia sul treno del tramonto seguendo la religione della morte.

In vero, sempre l’ISTAT, rileva che il numero dei non nati per IVG (interruzione volontaria di gravidanza) è in calo progressivo, ma i dati non dicono che l’intervento chirurgico di asportazione del feto è ormai sostituito dalle pillole farmacologiche del giorno dopo o di 5 giorni dopo, ancora una volta l’industria offre la soluzione comoda ed efficace aggirando le coscienze di medici obiettori.

Ad ogni annuncio dei numeri negativi delle culle, si accendono i microfoni delle omelie laiche e religiose che in sintesi scaricano la denatalità sull’assenza di una politica familiare dello Stato, un mantra di mancati sostegni, asili nido, congedi parentali e soprattutto assegni e sgravi fiscali che sarebbero incentivi strategici a far l’amore generando marmocchi.

A dire il vero, caro card. Bassetti, non ci risulta che ai bei tempi della vostra DC al governo si fosse partorita una politica sociale per la famiglia, il tutto si riduceva a pochi spiccioli di assegni familiari in busta paga, eppure la Chiesa allora era forte, permeava di valori cristiani la vita dei fedeli compresi i tanti Pepponi col santino di Lenin in saccoccia ma radicati nella tradizione cattolica della civiltà dei padri. Eppure la famiglia, perciò l’amore, occupava allora come oggi l’ultimo posto, c’erano le casalinghe a farsi il mazzo sostituendo lo Stato, per una donna lavorare era peccato, furbo paravento per scaricare sulle sue spalle tutto, ma proprio tutto, il peso della famiglia, poi venne il ’68…rivoluzione sessuale, femminismo, contestazione dei modelli borghesi.

Perciò le cause della cultura del tramonto sono diverse, assai più profonde non generate dall’assenza di cose da offrire a piene mani per invertire la corsa della locomotiva, sono dei sussidiari anche importanti (pensiamo al nido per metter su famiglia) ma non decisivi ad invertire una rotta, essere oggi una famiglia uomo-donna più prole è politicamente scorretto, roba da neocatecumenali, alto medioevo.

Perché anche in amore la cultura progressista ha imposto un diktat culturale, generato un mostro dalle mille teste senza eroi armati di spada per affrontarlo vincendo il duello, destra e sinistra pari sono per viltà e assuefazione al modus vivendi et operandi dell’uomo hi-tech, innamorato dell’io, narciso che si specchia nei selfie e vive e muore nel virtuale, masturbazione collettiva.

“Amor, ch’a nullo amato amar perdona” recita Francesca al guelfo Dante per giustificare il sentimento ardente che la lega a Paolo, un fuoco che non si spegne neppur all’Inferno, di amore tenace più degli Inferi sentiamo il bisogno, “Amor che fa girare il sole e l’altre stelle”.

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