Da Salvatore Giuliano a Foffo Dj
Il 3 maggio 2020, durante la trasmissione “non è l’arena” di Massimo Giletti, Nino Di Matteo, dal 2012 presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati di Palermo, ha accusato pubblicamente il ministro della giustizia Alfonso Bonafede di avergli negato nel 2018 un prestigioso incarico al ministero per via di alcune pressioni ricevute dai boss mafiosi, che si sarebbero lamentati sulla sua eventuale nomina. Prima di addentrarci nel merito della questione andiamo ad analizzare i profili dei protagonisti.
Alfonso Bonafede (Mazara del Vallo, 2 luglio 1976) dopo essere cresciuto nella città natale, lavorando come disc jockey con il nome d’arte di Foffo Dj, nel 1995 si trasferisce, a Firenze per frequentare la facoltà di giurisprudenza. Nel 2009 è stato candidato come sindaco di Firenze alle elezioni amministrative per il M5S, dove ha ottenuto l’1,8%, Capolista alla Camera per il movimento 5 Stelle nella circoscrizione Toscana come “più votato” alle parlamentarie on line del movimento con 227 voti, nel 2013 viene eletto deputato della XVII legislatura, dal 1º giugno 2018 è ministro della giustizia. Nino Di Matteo Nato a Palermo nel 1961, dopo aver conseguito il diploma di maturità classica si è laureato in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Palermo. Divenuto pubblico ministero nel 1999, ha iniziato a indagare sulle stragi di mafia in cui sono stati uccisi Giovanni Falcone, e Paolo Borsellino. Nel corso della sua carriera si è più volte occupato dei rapporti tra Cosa nostra e alti esponenti delle istituzioni. È ancora impegnato nel processo a carico dell’ex prefetto Mario Mori, in relazione alla trattativa Stato-mafia. Nel 2018 Buonafede fa una telefonata Di Matteo per proporgli l’incarico di responsabile del Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria). “Mi ero preso 48 ore per decidere – ha dichiarato Di Matteo – poi quando sono andato al Ministero per accettare ho scoperto che il posto era già stato assegnato al magistrato di Potenza Francesco Basentini.
A circa due anni di distanza il nome di Basentini è finito nella bufera per lo scandalo sulla gestione dell’emergenza coronavirus che ha portato alle scarcerazioni dei boss di mafia, ndangheta e camorra, anche detenuti in regime di 41 bis. Il 21 marzo scorso Basentini ha inviato a tutti i direttori delle carceri una circolare in cui li invita a comunicare all’autorità giudiziaria, il nominativo dei detenuti, che rientrano fra le patologie a rischio indicate dall’OMS, e di tutti i detenuti che superino i 70 anni di età. Con queste caratteristiche sono risultati scarcerabili centinaia di mafiosi di cui 74 boss al 41 bis. Fra i tanti: Nitto” Santapaola, condannato per diversi omicidi fra cui quello di Giuseppe Fava. Leoluca Bagarella, Pippo Calò, Benedetto Capizzi, Raffaele Cutolo, Carmine Fasciani, Vincenzo Galatolo, Raffaele Ganci, Tommaso Inzerillo, Salvatore Lo Piccolo, Benedetto Santapaola, Benedetto Spera, e Franco Cataldo, condannato all’ergastolo per il sequestro e l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo.
Si torna a parlare della cosiddetta trattativa stato mafia, volutamente ciechi al fatto che la Repubblica Italiana nata dalla resistenza e dalla “Liberazione” nasce figlia di questa trattativa. Beppe Niccolai, (rappresentante dell’ala sinistra del MSI, a cui non perdonerà, lui ex prigioniero del Fascist’s criminal camp di Hereford, Texas, la deriva atlantista,) membro della Commissione parlamentare antimafia dal 28 luglio 1972 al 4 luglio 1976, nella sua relazione di minoranza fu fra i primi ha co-relazionare la mafia con l’intelligence USA ed apparati dello stato. Leonardo Sciascia, intervistato dalla Tv francese, dichiarò che la relazione di minoranza presentata da Beppe Niccolai “era una cosa seria”. Facciamo un passo indietro: nel 1943, gli alleati decidono di sbarcare in Sicilia. Si rendono contro di avere gravissime carenze organizzative, sul terreno non c’è nemmeno un agente, americano. La marina degli Stati Uniti decide di servirsi della mafia, entrano in contatto con il boss Italoamericano Due boss, Joseph “Socks” Lanza, e tramite lui vanno segretamente a incontrare in carcere Charles “Lucky” Luciano. Il terreno è assolutamente favorevole ad una collaborazione, i mafiosi, a stelle e strisce sono solidali con i parenti Siciliani messi a tacere dal prefetto di ferro, l’antifascista Cesare Mori voluto in Sicilia da Mussolini. Luciano chiede di essere messo in contatto con un altro mafioso, Joseph Adonis, boss di Brooklyn che si impegna a reclutare italo-americani con collegamenti in Sicilia. Sbarcano tra Gela e Licata, con la prima ondata del primo giorno. Hanno con loro un elenco di persone da contattare, gentilmente messo insieme dai mafiosi di New York. Un agente americano abbe l’incarico da Lucky Luciano di contattare Calogero Vizzini, allora capo della mafia siciliana.
L’Oss, l’antenato della Cia, ebbe invece il compito di liberare tutti i mafiosi messi in carcere da Mussolini. La mafia, a lungo inattiva, viene rimessa in funzione. L’amministrazione provvisoria degli Alleati (Amgot) per funzionare ha bisogno di appoggi locali: quando i soldati se ne vanno, i funzionari civili si trovano di fronte a un enorme vuoto che viene subito riempito. La totalità dei sindaci e dei prefetti antifascisti nominati dopo la “Liberazione” sono in uomini di Cosa Nostra. L’ex capo della mafia di New York, Vito Genovese, compare a Nola, vicino Napoli, come interprete dei servizi d’informazione dell’esercito statunitense. Nel febbraio 1946 Lucky Luciano viene rilasciato ed estradato in Italia al suo arrivo fu accolto in “processione” da uomini d’onore che in seguito riempiranno gli scranni del parlamento Italiano.
Nell’isola «invasa da tutti e conquistata da nessuno», come dice Alfio Caruso, gli americani approfittarono di Cosa nostra, così abile nel controllo del territorio e dei generi di prima necessità. Con l’aiuto dei «paisà d’oltreoceano». Il 1º maggio 1947 nei pressi di Palermo, in località Portella della Ginestra, nel comune di Piana degli Albanesi, Circa duemila lavoratori si erano riuniti per manifestare contro il latifondismo e festeggiare la recente vittoria del Blocco del Popolo, l’alleanza tra i socialisti di Nenni e i comunisti di Togliatti alle elezioni dell’assemblea regionale siciliana, nella quale la coalizione PSI – PCI aveva conquistato il 32% dei voti. Dal nulla si cominciò a sparare lasciando a terra 11 vittime e numerosi feriti. La responsabilità dell’eccidio fu attribuita a Salvatore Giuliano, quanto evidenziato da Beppe Niccolai i veri Mandanti risultarono essere dirigenti della Dc locale collusi con la mafia, che avrebbero agito per conto dei servizi Statunitensi.
Così come la mafia aveva giurato vendetta al Fascismo che, con il prefetto Mori, l’aveva duramente colpita, così, nell’immediato dopoguerra, reagì alle istanze di rinnovamento dei nuovi soggetti politici per garantire il mantenimento dello status quo, sfruttando la fama del bandito Giuliano che si ritrovò a essere solo una pedina all’interno di una macchinazione molto più complessa. Durante il processo, Gaspare Pisciotta, uno degli esecutori della strage, oltre ad attribuirsi l’assassinio di Giuliano (avvenuto per impedirgli di testimoniare), indicò come mandanti i monarchici Alliata di Montereale e Cusumano Geloso e i deputati Democristiani Mario Scelba, (l’autore dell’omonima legge che vieta la “Riorganizzazione del disciolto partito fascista”, con cui lo stato mafioso ha soppresso negli anni di piombo ogni rivendicazione nazionalista) e Bernardo Mattarella, padre dell’attuale presidente della Repubblica Italiana. Pisciotta fu assassinato in carcere con un caffè avvelenato il 9 febbraio del 1954. Carlo Ruta nel suo libro “Il binomio Giuliano-Scelba” (Rubbettino 1995) scrive: «Fra l’oggi e quei lontani avvenimenti vige, a ben vedere, un preciso nesso. Nel pianoro di Portella venne forgiato infatti un peculiare concetto della politica che giunge in sostanza sino a noi.».
Di collusione con la Mafia e con l’intelligence Statunitense il padre del Presidente in carica venne accusato anche dall’ex ministro di Grazia e Giustizia Claudio Martelli, lo stesso che nominò il giudice Giovanni Falcone, direttore degli Affari Penali per consentirgli di coordinare l’azione giudiziaria da Roma. Bernardo Mattarella Dopo lo sbarco degli Alleati e la “liberazione” dell’isola costituì a Palermo il comitato provinciale DC, di cui fu presidente, entrò nella prima giunta comunale della città, nominata dall’”Allied Military Government of Occupied Territories”, l’organo militare deputato all’amministrazione dei territori occupati. Commissario dell’amministrazione di Palermo divenne l’italo-americano Charles Poletti, già governatore della città di New York, allora controllata negli affari criminali dalle 5 famiglie mafiose italo-americane dei Bonanno, Colombo, Gambino, Genovese, e Luchese.
Con il Socialista Martelli ci fu il primo e forse unico tentativo di sganciare lo stato dalle cosche, il 23 maggio 1992 a Capaci furono uccisi Giovanni Falcone e gli uomini della sua scorta. Fu dopo quel tragico evento che Martelli insieme a Scotti introdussero il regime di carcere duro ed un secondo comma all’articolo 41bis (decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356) che consentiva al Ministro di grazia e Giustizia di sospendere per gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica le regole di trattamento e gli istituti dell’ordinamento penitenziario nei confronti dei detenuti facenti parti di organizzazioni mafiose. Dall’esplosione dell’autostrada A29 in località Capaci i rapporti fra stato e Cosa Nostra divengono più difficili, ma mai interrotti, rapporti fatti di tangenti, elezioni e stragi. Claudio Fava (parlamentare nel Psi) giornalista, figlio di Giuseppe Fava, assassinato dalla mafia a Catania il 5 gennaio 1984, dedicò molto tempo ad approfondire queste tematiche, fu uno degli sceneggiatori della fiction Mediaset del 2008, “Il capo dei capi”, dove accanto alla storia del protagonista Totò Riina, affiorano anche altri personaggi comprimari tra cui lo stesso Bernardo Mattarella, ritratto come un politico colluso con la mafia.
Oggi l’esecutore dell’omicidio di Giuseppe Fava, Nitto Santapaola, si avvia a tornare a casa. Negli anni sono stati centinaia i Politici, Magistrati, Giornalisti, uomini dei servizi e delle forze dell’ordine collusi con le mafie. Nel 2015 pentito Carmelo D’Amico dichiarò che Provenzano era protetto dai servizi e non si era mai spostato da Palermo, racconta anche che servizi e Cosa Nostra volevano morti i P.M. Ingroia e Di Matteo perché si stavano avvicinando troppo a svelare la verità. L’emergenza economica provocata dal Lokdown sanitario sta creando nel paese miseria e malcontento, soprattutto al sud, c’è il forte rischio di rivolte popolari, non sarebbe la prima volta che lo stato si serve della mafia per funzioni di “tutela” dell’ordine pubblico. La liberazione di capi mandamento serve a questo, ad intercettare (o orientare) il dissenso. Di questa trama, come Salvatore Giuliano, Foffo Dj probabilmente è solo una pedina, sacrificabile.