Dall’onnipotenza all’inquietudine: l’inganno della globalizzazione
Per sua stessa natura l’uomo si inebria delle proprie scoperte. Da esse scaturisce l’orgoglio ottimistico che sovrappone l’Homo faber e l’Homo sapiens. Per questo, nel 1952, il sociologo francese Joseph Folliet sostenne che l’uomo moderno – permeato di tale fiducia – potesse considerarsi “prometeico” poiché postosi «sotto la protezione dell’eroe rapitore del fuoco, dell’uomo per eccellenza che strappa agli Dei i loro segreti, che sfida proibizioni e vendette, per comunicare ai propri fratelli la potenza divina».
Peccato che, inebriato da tale entusiasmo, l’uomo “prometeico” sia finito per impazzire perdendo il controllo di sé e delle cose che lo circondano, vittima – esso stesso – delle degenerazioni dello scientismo, quel movimento positivistico che attribuiva alle scienze e alle sperimentazioni la capacità di risolvere tutti i problemi dell’uomo e di soddisfarne tutti i bisogni.
Non è andata proprio così e ce ne siamo accorti. Le miserie umane legate alla diffusione del Covid-19 lo dimostrano. Se siamo arrivati al punto in cui siamo, lo dobbiamo alla centralità assunta, nel pianeta trasformato in “villaggio globale”, dall’onnipotenza dei tecnici, degli specialisti, dei professionisti del benessere e della scienza. Ciò, infatti, palesa la storia dell’umanità forzatamente globalizzata negli ultimi trent’anni: i progressi – prodotti dalla scienza, dalla tecnologia, dall’industria – espressione di una potenza che rasenta l’onnipotenza («un altro mondo è possibile», dicevano…), non hanno portato, come promesso, ad un “progresso” capace di alimentare un tranquillizzante senso di sicurezza, ma si sono risolti in un moltiplicatore di preoccupazione: si è partiti dall’onnipotenza, si è arrivati all’inquietudine.
In questi trent’anni di globalizzazione e neoliberismo, infatti, il totalitarismo capitalistico si è servito proprio dello scientismo per accrescere la sua forza, alimentando il consumismo e l’edonismo di massa. La scienza ha sperimentato nuovi oggetti, nuove cose desiderabili; l’industria li ha prodotti e li ha veicolati come utili, quasi indispensabili, servendosi dei mass media con una pubblicità ossessiva e invasiva che ha moltiplicato esponenzialmente nuovi bisogni da soddisfare.
L’uomo si è trovato in un vortice senza fine: estraniato, inebriato e solleticato dalla sua vanità, sollecitato nel suo orgoglio sociale. Si è lasciato coinvolgere passivamente, pensando di avere tutto ciò di cui necessitasse. In realtà, non aveva più nemmeno se stesso spogliato, com’è stato, della traditio, dell’umanità, dell’identità, del libero arbitrio, della dignità: l’uomo è stato ridotto alla condizione di ubbidiente automa e vittima di un grande raggiro, quello di nuovo mondo senza confini, senza conflitti, senza differenze.
Questa utopica visione del futuro è stata propinata facendo leva sull’enorme sviluppo complessivo dell’economia, del sapere, della capacità di forgiare strumenti sempre più perfezionati: la soluzione finale che avrebbe permesso di innalzare il livello e la qualità della vita, combattere più efficacemente la malattia, esplorare il cosmo e penetrare nei più intimi segreti degli organismi viventi. É successo, in verità, l’esatto opposto. Basta guardarsi intorno ed effettuare la spunta delle promesse disattese in questi decenni di follia globalista: dall’esplorazione del cosmo ci siamo ridotti a quella domestica, isolati in una quarantena infinita da un virus invisibile di cui continuiamo a sapere pochissimo e che ha rivoluzionato, forse per sempre, i menage quotidiani di tutti.
Peccato, inoltre, che quello sviluppo e l’annessa globalizzazione abbiano prodotto le più profonde disuguaglianze, ampliando il solco tra ceti sociali, Paesi e continenti; che i progressi scientifici e tecnici siano rimasti appannaggio solo di coloro che potevano economicamente permettersi di goderne; che la ricerca scientifica abbia preso binari inquietanti dal punto di vista etico e morale rivelando, alle prese con un coronavirus – secondo alcuni da essa stessa generato – tutti i suoi limiti; che il governo degli uomini si sia rivelato ben lontano dal poter assicurare un ordine internazionale anche solo soddisfacente realizzando, invece, un efficiente sistema di controllo globale che oggi si palesa in app di tracciamento da scaricare gratuitamente e solo per il bene comune.
Cosa non ci convince di quest’ultimo punto? Che le “democrazie sospese” in cui sta accadendo tutto ciò sono la risultante di un progressivo svuotamento che ha favorito il concentrarsi, nelle mani di minoranze incontrollate, di un eccesso di potere senza precedenti. Al quale fa da contraltare la condizione di una massa di cittadini ridotti a consumatori cui si richiede di subire passivamente decisioni che passano letteralmente sopra le loro teste in tutte le grandi questioni di interesse pubblico. L’esatto contrario di quanto ci avevano fatto credere: homo faber fortunae suae.