De Architectura

 

De Architectura

Ұ €$ (Yen, €uro, Dollaro), “la forma segue il mercato” afferma Rem Koolhaas (architetto olandese), a dire che la caratteristica contemporanea dell’architettura è la malleabilità, si adatta alle pressioni del mercato quanto un vermicello dietro a un elefante, direbbe Hegel, perché ad esso si confà e in esso si esaurisce, riparando nella technè e spogliandosi dell’archè. Questione di pancia, un puzzle di interessi, s’alzano in alto corpi di draghi in una vernissage continua, senza precedenti, che è look di potenza (finanziaria), show di subrette vanitose chiamate archistar.  Tutto a prescindere da territorio, storia, culture diverse, a ”fanculo il contesto” esclama lo stesso Rem. L’architettura, per definizione, è l’Elaborazione artistica degli elementi strutturali, funzionali ed estetici della costruzione, in dialogo sapiente, umile, con l’ambiente (perciò urbanistica) e il tempo, non solo il presente, ma quello storico, àncora sui fondali d’ una comunità di viventi non di soli divenienti. C’è oggi un’apoplessia dell’arte  incapace di comunicare con l’uomo contemporaneo, d’altra parte l’interesse autentico che questi ha per i percorsi di verità, dalla religione, alla filosofia, all’espressione artistica, é zero, condannando quei sentieri alla loro cancellazione, consegnandoli alla memoria del passato senza un valore spendibile al presente se non un selfie.

E’ pur vero che ogni rinascita prevede una morte e in questo senso va auspicata un’eclissi temporanea dell’estetica seppur è un fatto che la chirurgia plastica sia la nuova frontiera della scultura, la chiameremo botox art. Ci si modella secondo standard d’ accettazione sociale, fascinazione seducente, appeal di carriera, seguendo l’assioma star bene agli altri è star bene con se stessi.

L’architettura copia le istanze dell’attualismo relativista, segue le mode, disegnando merce per un mercato globale, organizza una spazialità condivisa ovunque, usa tecnologie d’avanguardia, innesti biologici (il grattacielo verde di Boeri) confezionando in un prêt-à-porter in uniforme da Shangai a New York, passando per la vecchia baldracca.

Le nuove generazioni di architetti non conoscono la grafite, la matita morbida per fissare un’idea, unico strumento richiesto è il PC o un Tablet sul quale far girare programmi AutoCad (2D, 3D), Rendering o poggiarvi una penna elettronica. Le scatole da progettare sono un copia e incolla, la stessa tipologia edilizia si clona dal mare, in montagna, passando per le periferie, su internet si sfoglia il bestiario dell’architettura contemporanea, poi si osserva il prodotto ruotare sullo schermo per vederne “la resa” virtuale. Per il calcolo strutturale stesso processo, s’investe sui programmi, cosa vuoi star a perder tempo con momenti ed integrali, idem per i progetti esecutivi, infine s’invia il tutto alle stampe. Questo sistema è gemello a quello finanziario, tutto on line, da computer o cellulare fa lo stesso, il denaro c’è ma non compare, esattamente come l’elaborazione artistica, la creatività intuitiva, non servono all’utenza, Pánta rheî in fibra, veloce, senza imperfezioni come il corpo d’Adamo ma privo della ruah, il soffio vitale, perché non c’è, non è richiesto neppure dalla normativa, la qualità non ha strumenti di misura.

155.000 architetti sono un’overdose per un’Italia in anoressia di lavoro dove le commesse pubbliche sono al lumicino e ben protette dal ritorno politico, i sogni finiscono col progettare minicessi e cucine, ricavare la stanza del bambino, mediare tra acquirenti e showroom d’ arredamento, un cabotaggio in mare aperto alla ricerca d’una città fantasma tutta da ideare. Beato Paolo Soleri che cavalcò l’utopia della città perfetta.

Illudere è un po’ ammazzare chi spera di cambiare il mondo alzando cattedrali ma se di queste s’è dimenticata la sacralità del luogo, si dovrebbero rintracciare quei tre sentieri cancellati dalle erbacce insegnando a percorrerli con scienza ed umiltà prima di impugnare il mouse.

L’architettura è morta? No, aspetta una trasfusione di sangue dalla propria terra, quel contesto particolare che rese fattibile coniugare radici e nuove gemme nel Razionalismo italiano.

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