De Gaulle sovranista e l’Europa

 

De Gaulle sovranista e l’Europa

Raramente i grandi uomini sono compresi dai contemporanei: la loro visione del mondo è troppo superiore alla media, perché i pigmei, appiattiti sulle piccole faccende quotidiane, riescano ad apprezzarli. La storia, però, prima o dopo, rende loro giustizia, rivelandone tutta la lungimiranza e l’elevatezza di pensiero. È quanto sta oggi accadendo a colui che possiamo a buon titolo considerare il primo sovranista d’Europa: Charles de Gaulle. Adesso, in piena campagna elettorale, merita ricordarne la vicenda.

 Il Generale francese, che fu Capo di Stato dal 1958 al 1969, in un decennio ha fatto molte più cose, per la Patria, di tutti i suoi omologhi del Novecento, eredi o predecessori che siano. Quando giunse al potere, la Francia si trovava sull’orlo della guerra civile e del putsch militare, prigioniera di una guerra coloniale in Algeria, che i piccoli uomini della Quarta Repubblica non avevano saputo o voluto evitare, schiavi delle lobby economiche e finanziarie, dei mercanti d’armi, di sindacati e partiti corrotti, guidati come spesso accade da incapaci o mezze cartucce, proiettati ai vertici delle rispettive organizzazioni proprio per queste caratteristiche. De Gaulle, appena installatosi all’Eliseo, comprese che tutto era da rifare. Una delle sue prime riforme fu l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, attuata non seguendo la consueta prassi costituzionale della doppia lettura alle Camere e della maggioranza dei due terzi, ma scavalcando questo iter mediante un referendum popolare, vinto a maggioranza bulgara. Tanto bastò per attirargli le ire dei partiti, dei media, delle associazioni di categoria e di tutti i poteri forti. Proprio lui, che era stato l’animatore universalmente riconosciuto della resistenza ai tedeschi, l’unico soldato di alto rango a non accettare la sconfitta e , con il famoso appello da Londra  del 18 giugno 1940, a promuovere la fondazione del movimento France libre, venne accusato di fascismo, golpismo, bonapartismo.

 Non parliamo poi delle inimicizie internazionali che si creò, ponendo al vertice della sua politica estera la dignità e l’indipendenza del popolo francese, in particolare di fronte a una idea d’Europa,che si stava facendo strada, e già allora lasciava presagire l’annullamento della sovranità degli Stati. Queste, alcune frasi rivelatrici pronunciate da de Gaulle in diverse occasioni: “La Francia ha saputo sfuggire alla tentazione, che le era stata offerta, di sparire in un   non meglio precisato areopago tecnocratico e irresponsabile che, di fatto, l’avrebbe cancellata per consegnarsi all’una o all’altra egemonia”. E ancora, il 5 dicembre 1965, in campagna elettorale per la sua conferma a Presidente, definì l’Europa come “l’ipoteca di una tecnocrazia per la massima parte straniera, destinata a prevaricare sulla democrazia francese”. Egli rifiutava “una federazione europea nella quale i paesi perderebbero la loro sovranità nazionale e dove, in mancanza di un federatore degno di questo nome, sarebbero governati da un qualsiasi consesso burocratico, senza patria né responsabilità”.

 Egli, tuttavia, non rifiutava in linea di principio ogni idea d’Europa, come ebbe a precisare al Cancelliere tedesco Ludwig Erhard  in visita a Parigi nello stesso anno, paragonando la costruzione dell’unità del Continente, obiettivo comune  di Francia e Germania, all’edificazione delle grandi cattedrali gotiche del Medioevo, opera che aveva richiesto secoli, e anche questo nuovo edificio avrebbe dovuto essere fabbricato con calma e riflessione, se non si voleva che implodesse, producendo danni irreparabili. Il motto prediletto dal Generale era: “I governi passano, i popoli restano”. Su questi presupposti concepì il suo progetto d’Europa dall’Atlantico agli Urali, che non poteva escludere paesi di grande civiltà e antichissima cultura cristiana, come quelli est-europei allora sottoposti alla tirannide bolscevica, oltre che la Russia stessa, erede naturale dell’Impero Romano d’oriente. IL fondamento   politico di tale futura unità avrebbe dovuto essere la partecipazione, come nuova e originale forma di sovranità del popolo, non sostitutiva ma integrativa della democrazia delegata.

 Ebbene, dopo mezzo secolo dall’uscita di scena di de Gaulle, le sue profezie stanno diventando realtà: l’Europa dell’est e la Russia si sono liberate dal comunismo, a Mosca è stata riaperta la Cattedrale di San Basilio chiusa da Stalin, ove Vladimir Putin si reca spesso a servire la Messa vestito da chierichetto, la partecipazione è parte essenziale della teoria politica di Alexander Dugin, il massimo ideologo russo, e il fatiscente edificio dell’Europa dei burocrati e dei poteri forti sta andando in  pezzi, come le prossime elezioni confermeranno. Cosa manca, allora, perché l’Europa dall’Atlantico agli Urali diventi realtà? Manca proprio quel federatore invocato dal Generale, ossia quel Carlo Magno o quel Napoleone Bonaparte dei nostri tempi, in grado d’incarnare gli ideali della nuova civiltà europea. La storia, però, produce sempre le figure di cui ha bisogno: basta lavorare tutti insieme con fede e determinazione alla realizzazione di tali prospettive e attendere gli inevitabili sviluppi.

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