De Regimine Principum [13]: confronto fra il dominio sacerdotale e quello regale – prima parte

 

De Regimine Principum [13]: confronto fra il dominio sacerdotale e quello regale – prima parte

Come è giusto che la fondazione di una città o di un regno prenda ispirazione dalla creazione del mondo, così la regola del governo si deve desumere dal governo divino.

Tuttavia bisogna prima considerare che governare significa condurre convenientemente ciò che si governa al debito fine. Una nave infatti allora si dice che è governata quando dall’attività del nocchiero è condotta con una buona rotta sana e salva in porto. Se dunque una cosa è ordinata a un fine fuori di sé, come la nave al porto, compito del governatore sarà non solo quello di conservarla sana e salva, ma anche di condurla al suo fine.

Se poi ci fosse una cosa che non avesse un fine fuori di sé, il compito del governatore sarebbe soltanto quello di conservarla nella sua perfezione sana e salva. Però nessuna cosa si trova in questa condizione, all’infuori di Dio, che è il fine di tutte le cose. Eppure attorno a ciò che è ordinato ad un fine estrinseco molti sono chiamati ad adoperarsi in maniera diversa.

Infatti l’uno può avere l’incarico di conservare la cosa nel suo essere; l’altro che pervenga a una perfezione più alta, come avviene chiaramente proprio nella nave, dalla quale si desume la nozione di governo. Infatti il carpentiere si occupa del restauro, se nella nave c’è qualcosa di rovinato, mentre il nocchiero ha il compito di condurre la nave in porto. Lo stesso vale per l’uomo. Così il medico si occupa di conservare la vita dell’uomo nella sanità; l’economo ha il compito di assicurargli le cose necessarie alla vita; l’insegnante si preoccupa di fargli conoscere la verità e il moralista di farlo vivere secondo ragione. E, se l’uomo non fosse ordinato ad un bene esterno a lui, gli basterebbero le cure che abbiamo detto ora.

Ma c’è nell’uomo – finché vive la vita mortale – un bene a lui estraneo, e cioè l’ultima beatitudine, che si attende dopo la morte nella fruizione di Dio. Poiché, come dice l’Apostolo (2 Corinzi, V, 6); «Finché siamo nel corpo peregriniamo lontani da Dio», Perciò l’uomo cristiano, cui quella beatitudine fu acquisita dal sangue di Cristo e che per conseguirla ebbe il pegno dello Spirito Santo, ha bisogno di un’altra cura spirituale con la quale sia diretto al porto della salvezza eterna; e questa cura è offerta ai fedeli di Cristo dai ministri della Chiesa.

Identico poi deve essere il criterio per stabilire il fine di tutta la comunità e di ogni singolo uomo. Se dunque il fine dell’uomo fosse un qualunque bene posto in lui stesso, analogamente il fine ultimo nel governare la comunità sarebbe l’acquisizione di questo bene da parte della comunità stessa e la custodia di esso. E se questo ultimo fine, di un uomo solo o della società per intero, fosse corporale, cioè la vita e la salute del corpo, il governo dovrebbe essere compito del medico. Se invece il fine ultimo fosse l’abbondanza delle ricchezze, spetterebbe a un economo il potere regale sulla moltitudine. Se poi il bene supremo della società fosse il raggiungimento della verità entro i limiti umani, il re avrebbe il compito del maestro. Sembra invece che il fine della moltitudine associata sia il vivere secondo virtù. Infatti gli uomini si associano per vivere bene insieme, cosa che non si potrebbe raggiungere, se ognuno vivesse separatamente. E la buona vita è quella secondo virtù. Dunque la vita virtuosa è il fine della società umana.

[Continua…]

 

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