De Regimine Principum [26]: partendo dal fine, si dimostra che ogni potere viene da Dio
Anche partendo dal fine risulta chiara la stessa cosa.
Infatti, se è proprio dell’uomo agire in vista del fine a causa del suo intelletto che in ciascuna azione predispone un fine, ogni natura, quanto più è intellettiva, tanto più agisce in vista del fine. Essendo dunque Dio la suprema intelligenza e puro atto intellettivo, la Sua azione deve implicare un fine in misura più grande. Dunque dobbiamo affermare che in ciascun fine particolare di ogni cosa creata è presupposta l’azione dell’intelletto divino, che noi chiamiamo anche prudenza divina, per mezzo della quale il Signore dispone tutte le cose e le guida al fine dovuto.
È così che la chiama Boezio nel De consolatione philosophiae. Perciò nel libro della Sapienza è detto che la Sapienza di Dio «con sicurezza giunge da fine a fine e dispone dolcemente tutte le cose». Da ciò dunque si conclude che quanto più una cosa è ordinata a un fine più elevato, tanto più partecipa dell’azione divina.
È proprio di tal fatta il governo di qualsiasi comunità, o collettività, sia esso di natura regale o di qualsiasi altro tipo: perché, essendo ordinato a un fine nobilissimo, come accenna Aristotele nell’Etica e nel primo libro della Politica, in esso deve presupporsi l’azione divina, e il governo di coloro che sono a capo della comunità è sottomesso alla sua virtù. E da questo forse trae verità il fatto che il bene comune da Aristotele nell’Etica sia chiamato «potenza».
Secondo, nel governare il legislatore deve sempre mirare a che i cittadini siano guidati a vivere secondo virtù, anzi è proprio questo il fine del legislatore, come afferma Aristotele nel secondo libro dell’Etica. Perciò anche San Paolo afferma che «il fine dell’ammaestramento è la carità» (1 Tim., 1,5). Ma non possiamo conseguire questo fine senza un moto di origine divina, così come il calore non può riscaldare senza la virtù del calore del fuoco e ciò che è luminoso non può illuminare senza la virtù della luce. Però il movimento del primo movente è tanto più alto, quanto la virtù divina supera e trascende la virtù creata e ogni tipo di operazione; e influisce tanto più fortemente, al punto che il profeta Isaia dice: «Tutte le opere nostre tu hai operato per noi, o Signore» (Isaia, 26, 12); e la parola evangelica: «Senza di me non potete fare nulla» (Gv., 15, 5).
Terzo, un fine muove tanto più efficacemente quanto più viene trovato nobile e migliore, come lo è il bene di un popolo rispetto al bene di una città, o di una famiglia, secondo quanto afferma Aristotele nel primo libro della Politica. Ora, il fine al quale principalmente il re deve tendere – e per se stesso e per i suoi sudditi – è la beatitudine eterna, la quale consiste nella visione di Dio. E poiché questa visione è il bene perfettissimo, deve muovere nella misura più grande possibile il re e qualunque governante, affinché i sudditi possano conseguire questo fine. Perché il suo governo allora è ottimo, quando in lui esiste un tale intendimento.
In questo modo reggeva e governava i suoi il Re e Sacerdote Cristo Gesù, il quale diceva: «Io dò loro la vita eterna» (Gv., 10, 28); ed ancora: «Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano abbondantemente» (Gv., 10, 10). Questo compito il re lo assolve pienamente quando vigila sul suo gregge come il buon pastore; perché allora sopra di lui si irradia la luce divina, affinché possa ben governare, come s’irradiò sui pastori alla nascita del nostro Re e Salvatore. E questa irradiazione relativa al buon governo, sia sul principe che sui sudditi, si esplica nei tre moti circolare, retto ed obliquo, cui abbiamo accennato sopra e dei quali parla San Dionigi nel quarto capitolo del De divinis Nominibus.
Infatti questo moto viene detto retto perché viene per illuminazione diretta divina sul principe affinché governi bene, e sul popolo per i meriti del principe. Ma si chiama obliquo quando, grazie all’illuminazione divina, governa i sudditi in modo tale che essi vivano virtuosamente e sorga in essi la lode verso Dio e il rendimento di grazie, in modo tale che si forma come la figura di un arco, formata da una corda retta ed un arco obliquo.
Il movimento poi dei raggi divini si dice circolare, quando l’illuminazione divina irradia sul principe, o sul suddito, in modo da elevarli a contemplare ed amare Dio: e codesto moto si chiama allora circolare, perché parte da una sorgente per ritornare alla stessa, ossia al punto di partenza; e questo è proprio del moto circolare. Aristotele parla di questo movimento nel dodicesimo libro della Metafisica, dove dice che «il motore primo, cioè la causa prima, cioè Dio, muove le altre cose in qualità di cosa desiderata», cioè sotto l’aspetto di fine che è Lui stesso.
Di questo parla anche il profeta Davide nel Salmo LXXI, sebbene il testo secondo i sacri Dottori debba essere riferito a Cristo nostro Re: «O Dio, il tuo giudizio concedi al re; e la tua giustizia al figliuolo di re; perché giudichi il tuo popolo con giustizia e i tuoi poveri con (equo) giudizio. Portino i monti la pace al popolo e i colli la giustizia!». E queste espressioni certo sono preghiere che un re e qualunque altro governante deve rivolgere a Dio per il buon governo del popolo, cui essi soprattutto devono tendere, come sopra abbiamo detto. Posto che abbiamo la mente così disposta a ricevere l’influsso divino per la salute dei sudditi, il Salmo aggiunge: «Scenderà come pioggia sulla messe, e come acqua irrorante la terra. Spunterà ai suoi dì la giustizia, e abbondanza di pace».
Da tutte queste cose risulta abbastanza chiaramente che il potere proviene da Dio, sia considerando il fine remoto, che è Dio stesso, sia considerando il fine prossimo, che è l’agire secondo virtù.