De Regimine Principum [41]: sottomissione degli Imperatori alla Chiesa di Roma
Avvenne che, essendo stato Giuliano[1] ucciso durante la guerra coi Parti, fu restituita la pace alla Chiesa da Gioviano suo fratello, uomo cattolico; però questi regnò poco tempo.
Un fatto notevole si riscontra negli Imperatori, da allora fino a Carlo Magno: furono quasi tutti obbedienti ed ossequienti alla Chiesa di Roma, per il suo primato, sia per quanto riguarda il dominio spirituale, come definì il santo Concilio di Nicea, sia per quello temporale.
Perciò Papa Gelasio potè scrivere all’imperatore Anastasio che, come insegna la storia, l’Imperatore dipende dal giudizio del Papa, e non viceversa. Anche Valentiniano – che fu l’immediato successore di Gioviano – disse nell’imminenza dell’elezione dell’Arcivescovo di Milano: «Ponete nella sede pontificale una persona a cui noi che governiamo l’impero possiamo piegare il capo sinceramente, e riceverne le ammonizioni quando da uomini sbagliamo, come dal medico riceviamo la medicina»[2].
E poiché questa materia serve a mostrare l’ossequio dei prìncipi nei confronti del Vicario di Cristo, dobbiamo qui trattare degli Imperatori fino ai tempi di Carlo Magno. Ancora di quelli del periodo da Carlo a Ottone I, nel quale periodo furono cambiate tre cose. In primo luogo il metodo per eleggerli; secondo, le leggi di successione; terzo, il metodo di governo. Affinché questo appaia chiaramente, bisogna riportare qui qualcosa della successione degli Imperatori fin dal tempo di Costantino, che furono sottomessi alla Chiesa, tranne i già detti tiranni.
La storia infatti racconta che Costantino, dopo essersi sottomesso al Vicario di Cristo cedendogli Roma, si trasferì con satrapi e prìncipi nella Tracia, laddove comincia l’Asia Maggiore e finisce l’Europa, e lì scelse una città chiamata Bisanzio. E, come sappiamo dalla storia, la rese quasi uguale a Roma e la chiamò col proprio nome. Tale fu la sede imperiale fino a Carlo Magno, nella cui persona Papa Adriano, riunito un Concilio a Roma, trasferì l’impero dai Greci ai Germani.
In tutto questo si vede chiaramente come gli Imperatori di Costantinopoli dipendessero dal Vicario di Cristo, cioè dal Sommo Pontefice, come scrisse Papa Gelasio all’Imperatore Anastasio: cosicché il loro impero era ordinato a governare i fedeli secondo i dettami del Sommo Pontefice, in modo da potersi denominare giustamente esecutori e cooperatori di Dio nel governo del popolo cristiano.
Ciò si può vedere in primo luogo a proposito dei quattro Imperatori che regnarono in questo tempo intermedio e furono presenti ai quattro più solenni e universali Concili, ne approvarono i deliberati e vi si sottomisero. Il primo fu quello di Nicea, di 318 vescovi, al tempo di Costantino, nel quale fu condannato Ario prete di Alessandria, il quale, come sappiamo dalla storia, sosteneva che il Figlio di Dio era inferiore al Padre. Si racconta che Costantino sostenne tutte le spese di quel Concilio, quasi per riconoscere con questo gesto come suo Signore il Vicario di Cristo, le cui veci erano tenute da tutto il Concilio; poiché San Silvestro era assente per motivi particolari. Il secondo Concilio si svolse a Costantinopoli durante il pontificato di Ciriaco (tuttavia alcuni affermano che si svolse sotto Papa Damaso), alla presenza di Teodosio I, come racconta la storia, e si radunarono 150 vescovi. In esso furono condannate molte eresie, ma principalmente quella del vescovo di Costantinopoli Macedonio, il quale negava che lo Spirito Santo fosse Dio, consustanziale al Padre e al Figlio.
Teodosio, anzi, fu così ossequiente verso la Chiesa che, come scrive Gelasio all’imperatore Anastasio, quando Sant’Ambrogio gli vietò l’ingresso in chiesa, non osò entrare; avendolo egli scomunicato per aver dato il suo consenso all’uccisione di una grande quantità di Tessalonicesi, i quali avevano assassinato un giudice imperiale, come racconta la Storia Tripartita. Il Principe cattolico sopportò pazientemente tutto questo; e infine, duramente rimproverato da Sant’Ambrogio, fece pubblica penitenza prima di riottenere l’accesso alla chiesa.
Il terzo Concilio, di 200 vescovi, fu celebrato sotto Teodosio II figlio di Arcadie, ad Efeso, al tempo di Papa Celestino I, anche se questi non fu presente; ma ne fece le veci Cirillo vescovo di Alessandria, con la fiducia di Teodosio, che fu di così grande onestà, maturità di consiglio ed ossequio al culto divino che gli fu permesso di regnare anche in tenerissima età, come sappiamo dalla storia. Questo Concilio fu riunito contro Nestorio, vescovo di Costantinopoli, che sosteneva essere presenti in Cristo due persone e due suppositi, per cui si giungeva a negare la vera unione delle due nature.
Il quarto Concilio, di 630 vescovi, fu celebrato a Calcedonia sotto San Leone I, alla presenza dell’Imperatore Marciano, del quale si racconta che per ossequio alla Chiesa di Roma così abbia detto durante la settima azione di questo Sinodo: «Noi siamo voluti intervenire a questo Concilio per confermare la fede e non per una dimostrazione di potenza, sull’esempio del religiosissimo Costantino, affinché, trovata la verità, il popolo non sia ulteriormente discorde per l’influenza di malvagie dottrine»[3]. Da ciò si può dedurre che anticamente tutta l’intenzione dei Prìncipi era volta a favorire la fede in ossequio e onore della Chiesa di Roma. In questo Concilio fu condannato Eutiche con Dioscoro vescovo di Alessandria i quali, mentre Nestorio sosteneva che in Cristo come sono distinte due nature devono distinguersi due persone, sostenevano che erano unite e mescolate anche le due nature.
[1] Flavio Claudio Giuliano, imperatore dell’Impero Romano dal 360 al 363 d.C., meglio conosciuto come “Giuliano l’Apostata”, ultimo imperatore pagano.
[2] Citato nel testo ma non indicato né reperito.
[3] Citato nel testo ma non indicato né reperito.