C’è un elemento nuovo nel paradigma fluido dell’antropologia post-moderna: è la mascherina. Di maschera ne parlava già Nietzsche più di un secolo fa ne La nascita della tragedia, affermando che tutto ciò che è profondo ama la maschera, innalzata a simbolo di distinzione da cogliere fra realtà e apparenza. Oggi abbiamo invece la mascherina, che produce asservimento e disumanizzazione, trasfigurazione dell’umano. La mascherina è divenuta da tempo il simbolo della lotta al coronavirus. Come la maschera che tanto affascinava il filosofo, anche la mascherina di oggi non simboleggia forse la differenza difficile da cogliere fra verità e menzogna, realtà ed apparenza, essere e spettacolo? Il teatro è il regno della maschera, lo sappiamo: sul palcoscenico l’attore indossa una maschera, dietro alla quale nasconde la sua vera identità, per assumere quella richiesta dallo spettacolo che di volta in volta deve inscenare. Al tempo del coronavirus, il reale è sempre più mascherato, coperto dalle narrazioni del mainstream e dalle ideologie, tanto che è la realtà creata nei recenti mesi è divenuta ormai quasi consuetudine.
È un periodo di paradosso: per anni abbiamo rivendicato il nostro volto scoperto, libero, fiero, che non deve nascondersi ma anzi essere espressione del nostro io, al volto coperto delle donne islamiche, innalzato ad emblema della illibertà, dell’oscurantismo e della mancanza di diritti. Ora ci troviamo tutti, d’un tratto, a dover coprire il nostro volto, e ciò in nome della sola religione consentita oggi in Occidente: quella della Scienza. L’uomo ha dichiarato la “morte di Dio” ma non può far morire il suo ontologico ed essenziale anelito al divino, e pertanto ha semplicemente sostituito Dio con una fede nella Scienza e nella Tecnica, con annesso innalzamento dei tecnici e degli scienziati a nuovi sacerdoti dal giudizio infallibile, garanti dell’ordine simbolico, talvolta anche supremi decisori nei nuovi tribunali che condannano gli eretici che osano dissentire dai dettami del pensiero unico.
La mascherina svolge quindi una duplice funzione: in primo luogo cancella l’unicità della nostra identità soggettiva, quel valore unico ed irripetibile con la propria dignità, omologandoci in maniera quasi del tutto irriconoscibile alla grande drammaturgia sociale decisa dal potere a proprio vantaggio. Questo è ben altro dalla vera uguaglianza; è invece il trionfo della società liberista, che predica la società aperta e ci reclude tutti in casa, che sventola la libertà dell’individuo e allo stesso tempo la uccide con l’omologazione consumista della globalizzazione mondialista, che ancora celebra il privato contro il pubblico e distrugge il pubblico rendendolo privato, disgregando gli spazi della sfera pubblica in nome del sacro distanziamento sociale e, insieme, rendendo pubblica con il tracciamento tecnologico di droni e app la nostra vita privata. In secondo luogo, la mascherina è emblema della distruzione dell’uomo che si sta oggi compiendo: l’uomo è maschera di se stesso, irriconoscibile, trasfigurato non come angelo ma sempre più come demonio, semplice manichino plasmato dal potere, con una mascherina progettata su misura dalla tecnoscienza. Prima ci hanno imbevuti di convinzioni circa i diritti e la dignità di ciascuna persona per ottenere il nostro consenso, adesso li aboliscono ed impongono il loro magistero della menzogna. Scriveva Nicolàs Gomez Davila che «ciò che un despota non oserebbe pensare, il democratico lo dice al popolo».
Non vi è più l’uomo, vi è solo la sua maschera. Il vecchio motto di Cartesio diviene, oggi, a suon di D.P.C.M., il nostro motto: «Larvatus prodeo», ovvero “Avanzo con la maschera”. Anzi, con la mascherina.