Ha fatto Boom la notizia di Francesco Guccini in piazza S. Pietro per l’udienza papale ai pellegrini di Bologna del 21 Aprile, Anno MMDCCLXXI ab Urbe condita. Lo scorgiamo appoggiato alla transenna, sorridente ma un po’ bolso, l’io anarchico, io fascista,…negro, ebreo, comunista” aspetta paziente per scambiare qualche convenevolo col Papa della revolucion.
Ma sì è proprio lui sotto il cappellino parasole coi colori vaticani, quel cantautore che firmava nel 1967 il brano Dio è morto, affermazione estranea all’annuncio profetico di Zarathustra ma capace di far sobbalzare le tonache, eppure sarebbe stato sufficiente leggere bene il testo. Guccini è un’icona trans-generazionale, ha catturato sinistra e destra, persino i ciellini di Socci, ancora adesso suscita condivisione quel poeta di-vino di via Paolo Fabbri 43, tanto che uno dei miei figli bussò alla sua porta in quel di Bologna.
Ma questa premessa poco importa, la notizia a scavarla potrebbe essere un’altra, l’arte è tornata, in qualche modo, a dialogare con la Chiesa? Può questo timido, mediatico incontro essere un segno di riconciliazione tra l’universo della trascendenza e l’immanenza del fare arte? Vedremo se oltre le semplici pulsioni personali d’ un agnostico protagonista di musica e racconti, ormai un po’avanti con gli anni, ci sarà anche dell’altro. Volgiamoci indietro un momento, l’arte figurativa, come sapete, subì un’autentica persecuzione, insufflata da ebrei e mussulmani, da parte del tremebondo Leone III imperator d’Oriente, si era intorno al 725 d.C. Fu braccio di ferro con la Chiesa fino al Concilio di Nicea II del 754, durante il quale fu elaborata la stesura di un documento che sarebbe diventato l’horos del concilio64, con esso fu sancita la legittimità del culto delle sacre icone, sulla base di un’attenta esegesi delle Sacre Scritture confermata dalla tradizione patristica della chiesa, seguì. per logica, la scomunica degli iconoclasti.
Ci fu un rigurgito contro il culto delle immagini sotto l’imperatore Teofilo, sepolto il quale (842) la moglie Teodora, reggente al trono, indisse il Concilio di Costantinopoli del 843 che confermò legittimo il culto delle icone, l’iconoclastia fu condannata come eresia per monofisismo, il tutto con una solenne cerimonia celebrata in Santa Sofia. Per mussulmani, ebrei e diverse chiese riformate resta il divieto divino riportato nel libro dell’Esodo e ripreso dal Deuteronomio: “Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo, né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è sotto le acque». A dire il vero Martin Lutero non fu mai iconoclasta, anzi fu allineato alle posizioni del Concilio tridentino su questo tema, le immagini nelle chiese in fondo erano la Biblia pauperum, avevano funzione didattica per fedeli rigorosamente analfabeti. L’Eclissi dell’arte nella religione cattolica è lunga, a partire dal XVIII sec. con l’affermarsi dell’Illuminismo, poi a seguire nei due secoli successivi senza soluzione di continuità, gli artisti rivendicavano giusta e piena libertà di ricerca espressiva senza alcun condizionamento iconografico. È l’arte per l’arte in apparenza, in realtà fu il frutto di una nuova platea di mercato: la borghesia grassoccia coi suoi appetiti di investimenti nel tempo.
Veniamo ora all’appello di Paolo VI rivolto gli artisti nel Messaggio di chiusura del Concilio Vaticano II, era l’8 dicembre 1965: “Se voi siete gli amici della vera arte, voi siete nostri amici!… Oggi come ieri la Chiesa ha bisogno di voi… Non lasciate che si rompa un’alleanza tanto feconda!… Ricordatevi che siete custodi della bellezza nel mondo”. Richiamo caduto nel vuoto o quasi, si era ormai alla vigilia del trito e ritrito ’68, ulteriore faglia tra estetica e religione, anzi il terremoto scavò ferite profonde non solo in arte ma soprattutto nella morale della Tradizione, anche il signor Guccini ne sa qualcosa.
Nel giorno di Pasqua del 1999 Giovanni Paolo II sorprese tutti firmando una lettera aperta agli artisti articolata in 16 punti dei quali il primo titola: L’artista, immagine del Dio Creatore specificando come Dio ha, dunque, chiamato all’esistenza l’uomo trasmettendogli il compito di rendersi artefice della sua opera. Nella « creazione artistica » l’uomo si rivela più che mai « immagine di Dio »… Esaminati, anche storicamente, i compiti dell’arte, il pontefice conclude lanciando un ponte di riconciliazione con quel mondo sul tema della bellezza: “La bellezza è cifra del mistero e richiamo al trascendente… la bellezza delle cose create non può appagare, e suscita quell’arcana nostalgia di Dio che un innamorato del bello come sant’Agostino ha saputo interpretare con accenti ineguagliabili: « Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato! » e ancora: “I vostri molteplici sentieri, artisti del mondo, possano condurre tutti a quell’Oceano infinito di bellezza dove lo stupore si fa ammirazione, ebbrezza, indicibile gioia”. Volava altissima l’aquila polacca assi diversa dal coluro della Patagonia.