Discorso sulla Bellezza: parte seconda

 

Discorso sulla Bellezza: parte seconda

[In foto: busto in pietra calcarea della regina Nefertiti]

C’è una lettura nietzschiana del ’68 se Zarathustra veste i jeans d’una generazione che “strilla” la morte del Sistema, è l’annuncio dell’uomo folle della Gaia Scienza che risuona nelle Università, cattedrali laiche del sapere: “Lo Stato [Dio]è morto! Lo Stato [Dio]resta morto! E noi lo abbiamo ucciso!…” Già perché il nuovo Balam, da Kant in poi, è lo Stato erede al trono che fu del Dio dei nostri padri, vecchi bigotti. Quel tentato omicidio non produsse fresche gemme dal sangue delle barricate, anzi spalancò Sesamo ai “ladroni” del global system, quello interconnesso, dove la guerra del Vietnam sprofonda nelle comode poltrone dei salotti come sosteneva Marshall McLuhan e invertendo una frase del film “The Butterfly Effect” (2004) potremmo dire che: “Un uragano dall’altra parte del mondo è in grado di provocare un minimo battito d’ali di una farfalla mentre vede, poggiata sull’orlo zuccherato di un aperitivo, sequenze dell’orrore, piegherà le ali pietosa, poi lesta farà zapping. La Bellezza fu uccisa dagli iconoclasti, tirata giù dall’Olimpo dove s’incarnava tra le muliebri dee vanitose e zac fu decapitata perché segno tangibile della metafisica, del volare alto fino alla vetta, era un’intrusa nella massa degli uguali liberati da ogni antico sapere. Il verso perse metrica, suono, l’uomo si ridusse al prodotto anale se la sua cacca in barattolo industriale poteva trovare un degno posto nei mesti testi della Storia dell’Arte accanto al Giudizio Universale. Dall’arte per l’arte il passo dell’oca successivo diventò tutto è arte, Amen. Importante è il contenitore sia esso un elettrodomestico come il televisore, un iphone, un palmare di nuova generazione, poi il resto è perizia tecnica di comunicazione. Le gallerie, i musei sono cattedrali del business, arte come investimento, rischio d’impresa nell’ annusare buoni affari, arte come le azioni, derivati sui quali puntare, possiamo dirlo allora ars non olet. Ma qui vogliamo ribaltare il tavolo verde per ritrovare valori forti, per questo ripartiamo da Sergej Michajlovič Solov’ёv, certamente un sognatore, aquila che lascia l’immanenza della piccola preda per librasi verso la cima del mito. Nel tempo la società occidentale ha separato in vasche non comunicanti la metafisica (fino ad ucciderla), le scienze naturali e la mistica anch’essa ridotta ad un ameno “star bene” ecologista. Lo sforzo del pensatore russo fu ritrovare l’unità tra queste tre componenti che il pensiero cartesiano aveva sezionate e ben distinte, un tentativo titanico il suo, visto l’incalzare del neopositivismo, ma una tesi affascinante per l’indubbia aspirazione secolare dell’umanità. La verità è riconoscere nel tutto l’Uno e viceversa se è vero che il piccolo diamante riflette, sulle sue facce, l’immensità del cielo. E’un processo estetico, ancor meglio estatico perché svela la Bellezza immacolata madre del cosmo nelle sue infinite forme alle quali l’opera dell’uomo coopera per il suo progressivo compimento. Non una bellezza immutabile ma ulteriormente perfettibile, emula, per capirci, della Monna Lisa di Leonardo rimasta incompiuta perché il vinciano, sempre insoddisfatto, voleva sempre affinarla tocco dopo tocco, inseguendo l’infinita prospettiva d’una perfezione da ghermire senza che sia davvero mai raggiunta. L’arte, cari miei, o coopera a costruire la Bellezza oppure è niente perché la Pulchritudo è la vittoria sulla morte. Solov’ёv ne fa un soggetto messianico, salvifico per le umane carni se ritrovassero lo spirito dell’unità tra divino-umano-cosmico; è questa, credo, la lettura dell’abusata quanto enigmatica frase pronunciata dal principe Myškin nell’Idiota di Dostoevskij: “La bellezza salverà il mondo”.

Pensiero in apparenza impossibile da cavalcare mentre cerchiamo l’orgasmo tecnologico, la protesi robotica, il nichilismo relazionale, eppure in questa folle danza sciamanica dei tanti anticristi, la Bellezza ci stupisce coi suoi misteri lasciandoci basiti come bambini, a bocca aperta. Un giorno posero a Papa Ratzinger questa domanda “Quante sono le strade che portano a Dio”? Ed egli rispose: “Tante quante sono gli uomini“ tuttavia tra i percorsi scelti, disse, ha il risalto maggiore la via della bellezza. Dinanzi alle sue molteplici manifestazioni l’uomo percepisce che incessantemente “tutte le immagini dicono: più in là“. In questo l’arte non è “un’interruzione gioiosa” tanto meno una “vacanza inattesa”, il suo compito è appunto molto più in là.

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