Diventare adulti

    

Diventare adulti

Senza scomodare la riflessione aristotelica che dà all’atto realizzato una priorità logica, ontologica e cronologica sulla mera potenzialità, la banalizzazione puerocentrica dimentica che la principale aspirazione del bambino è proprio quella di diventare adulto, cosicché, in preda ai propri sensi di colpa, tende a infantilizzare il bambino e a lasciarlo il più possibile in uno stato ovattato di perenne comprensione. Si tratta della traduzione pedagogica del buonismo di cui trabocca la nostra società, almeno per certe categorie di individui, per i quali è sempre pronta a mobilitarsi la centrale politicamente corretta della comprensione e del perdono. Non casualmente, gli unici delitti per i quali non si offre e non si chiede comprensione sono quelli commessi contro l’infanzia.

Intendiamoci: la pedofilia e certi folli delitti contro i bambini meritano le parole rivolte ai loro autori nel Vangelo: è meglio che si leghino un masso al collo e si gettino in mare. Quello che si vuol far notare, e che indica a nostro avviso una tendenza sociale che va oltre gli aspetti formativi ed educativi, è che basta il semplice sospetto o l’accusa di un abuso nei confronti dei bambini a far levare un coro di condanna che incita tutti a sollecitare le pene più atroci e soprattutto più sommarie, con una superficialità che fa del Terrore rivoluzionario, o del Far West, una culla del diritto. Al Bambino Divino – che in molte scuole si vieta di celebrare per non offendere la sensibilità degli ospiti – si è sostituita la divinizzazione del bambino. La versione moderna della legge dei sospetti si applica solo nel caso dell’infanzia; da tutti i delitti si può trovare comprensione e, in alcuni casi, persino approvazione; da un solo sospetto non c’è salvezza. Un segno dei tempi, crediamo.

Tradotto in termini scolastici, il buonismo può rendersi con il giustificazionismo a oltranza, basato su criteri che con il rendimento, la preparazione, il merito, il rispetto delle regole nell’esplicazione dei compiti e della convivenza sociale non hanno nulla a che fare. La filosofia della scuola italiana è passata dall’attualismo pedagogico di Giovanni Gentile a una sorta di pragmatismo attivistico, dove l’unica cosa che conta – e spesso nemmeno quella – è una generica partecipazione. La scuola normale di un Paese normale considererebbe l’impegno e la buona volontà di chi frequenta un corso, specie di indirizzo superiore, come un patrimonio comune, sostrato ovvio e imprescindibile del lavoro scolastico. Invece, in Italia, finiscono per assurgere a valore in sé; per cui, se anche il rendimento non raggiunge gli standard minimi richiesti – e si stratta di richieste davvero minime, ormai – si “assolve” in nome dell’impegno o della buona condotta, quasi come se si trattasse di valutare la libertà per dei carcerati.

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