E in fondo anche questo era un gesto d’amore

 

E in fondo anche questo era un gesto d’amore

E in fondo era un gesto d’Amore. Gina mi chiede se l’accompagno a vedere il film Il sangue dei vinti, uscito da poco e che tratta anche di una Ausiliaria, fattasi “franco tiratore” pur di non arrendersi e gettare alle ortiche, con la divisa, il proprio Onore. Catturata dai partigiani, è stuprata trascinata su un camion fucilata. Ho visto alcune scene in anteprima. Come reagirà lei che ha subito una esperienza analoga? Portata quale trofeo, denudata e il seno e il pube con cerchi di vernice rossa, per le vie di Vimercate (?), rasata e le ciocche dei capelli in dono a “Stalino!”. Rinchiusa nella cella di un convento ove, nel chiostro, un improvvisato tribunale del popolo condannava a morte i giovani della Repubblica che, passandole accanto, oltre la grata, fingevano d’essere stati assolti per rassicurare lei e le altre ausiliarie e rimessi in libertà per poi cadere sotto un feroce plotone d’esecuzione, ignari che esse avevano ascoltato le voci provenienti dal chiostro. Un gesto anch’esso d’Amore.                                           

Così andiamo al cinema – mi sono fatto confortare dalla presenza di alcuni comuni amici – e alcune immagini esprimono la brutalità e ferocia di quella stagione della guerra civile ove “la pietà l’è morta”. Con garbo e cautela le chiedo un commento. Sì, il film l’è piaciuto, qualche inesattezza, poca cosa. E aggiunge, quasi a precedere il cuore dolente del mio domandare, che non si era sentita completamente a suo agio (pausa, ed io a disagio, quasi in una sequenza d’effetto) … perché le scarpe le erano strette tanto che se l’era sfilate. Una esistenza, umiliata e offesa, era lì, in piedi nella sua fierezza, perché ogni sacrificio, anche il più crudo, è dono all’Idea, che la forma e la nobilita. Anche questo – e soprattutto – è Amore. E Gina in ogni suo gesto dava e coglieva la forza di questo sentimento.                                                                                           

Quando Giano Accame pubblica, postumo, La morte dei fascisti l’intento esplicito è di contestare quella ricorrente interpretazione di un Fascismo cupo mefitico fatto di miti simboli richiami suggestioni verso la morte e non, al contrario, un modo gioioso e irridente di affrontarla quale espressione congiunta e inesorabile con la vita. Se si muore che lo si faccia, come suggerisce l’imperatore Adriano, “ad occhi aperti”. E se si cade in nome di una idea, per una causa, in uno scontro titanico di forze opposte, ciò non deve toglierci il sorriso la sfida lo sberleffo. Questa è la gioia del Fascismo. E la gioia l’amicizia (leggi cameratismo) la leggerezza l’irriverenza, come ci insegnava Robert Brasillach, sono tutti gesti d’Amore.

Oggi il mio animo s’è chetato. Il vorticare di nubi minacciose dissolto. Solo luccichio di stelle e silenzio. Non ricordo a memoria i bei versi di Ossip Mandelstam (morto nel gulag, 1938), fra i più grandi del Novecento, che richiamano, appunto, la musica interiore che nasce quando ci leviamo oltre la miseria e i rumori del presente. E mi vengono incontro i volti di coloro che ho amato, degli altri non ho più memoria. E tu, il più prossimo – è trascorso appena un anno, Stefano, e già mi manchi…                             (notte, tra il 9 e 10 settembre).

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