E uscimmo a riveder le stelle…

 

E uscimmo a riveder le stelle…

All’origine fu il mito. Racconta il mito come Urano, il cielo, coprisse con il suo corpo possente Gea, la terra. E costei, sfinita, mettesse in mano al figlio Crono, il tempo, un falcetto e, mentre Urano si accingeva a possedere Gea, lo evirasse. Da allora cielo e terra si sono sottratti all’amplesso, sono divenuti inesorabilmente distanti. Dal mito, con il suo linguaggio del corpo (emozioni che solo chi le prova ne comprende e ne condivide il significato), alla filosofia che, con il linguaggio della ragione, pretende di dare risposte universali e necessarie (comprensibili a tutti e di descrivere ciò che è e non può essere altrimenti). Così Platone, ad esempio, nel Timeo, fra i dialoghi della maturità, spiega che l’uomo ha il corpo eretto perché un dio lo afferra per i capelli e gli ricorda come, a differenza degli animali, la sua origine sta nel cielo, la sua ‘cara patria’, come la definisce Plotino.

Il mito si esprime e si accompagna alla parola, la parola che non si rivela nella sua interezza ma si fa sfuggente accenna. Racconta il mito che Zeus liberasse in volo due aquile in direzione opposta e, quando si rincontrarono, sotto di loro sorse Delfi, là il centro del sapere il cuore del mondo. L’oracolo. Nel tempio dedicato al dio Apollo, la Pizia con le sue parole oscure e lasciate al richiedente perché ne traesse il senso – è questo lo spazio in cui far coabitare la ferrea legge del destino con l’illusoria libertà dell’uomo di poter essere l’artefice del proprio agire? Di questo dilemma farà carico e dono all’Occidente il mondo greco e con la tragedia e con la filosofia.                                 

Con le sue contraddizioni inquietudini le domande irrisolte le risposte fragili sempre ‘con il cielo stellato su di noi e la legge morale in noi’. Il cammino della metafisica e della sua dissoluzione. Da vecchio professore in pensione ormai ad altri il compito di mostrare le tappe di una storia a cui ho voltato le spalle per guardare dalla finestra la notte con le sue ombre inquiete le promesse i desideri sopiti le avventure sognate a cavallo di uno stanco Ronzinante. Senza metafore e metanoie. Eppure…                                                            

Nella notte del 13 – 14 settembre 1321 muore, esule a Ravenna, Dante Alighieri di cui, appunto, quest’anno si celebreranno i settecento anni. Il Dante fiero esule, Il Dante quale Fedele d’Amore, il Dante profeta dell’avvento del Veltro, ‘il Ghibellin fuggiasco’, a dare nuove parole e nuovo volto all’Italia. XXXIV canto, ultimo verso: ‘e uscimmo quindi a riveder le stelle’… Mai domi, dunque. Del resto ho/abbiamo mai chiesto altro alla vita?

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