Ritrovo casualmente di Mishima Yukio, tratta da Confessioni di una maschera (il libro che lo rese celebre), questa considerazione “le emozioni non hanno simpatia per l’ordine fisso”. E mi accorgo di aver tanto scritto sul gioco delle emozioni e del loro antecedere la ragione e non avere mai citato – amo sostenermi con le parole altrui messe tra virgolette come oggi mi appoggio e mi dono fiducia con il bastone ortopedico a tre punte – questo richiamo imperioso di uno degli scrittori a me più cari e, certo, sovente richiamato all’attenzione (da Inquieto Novecento al convegno di tre giorni organizzato con gli amici di Raido e, apoteosi, la messa in scena de La voce degli spiriti eroici, coinvolgendo capacità impegno entusiasmo dei giovani del Foro 753).
Emozioni di Mogol-Battisti, in pochi versi, a dominare “il divino stupore” e “la meraviglia” di cui ci insegnano Platone ed Aristotele essere l’origine del filosofare, del dominio assoluto del pensiero razionale in Occidente, pilastri entrambi di quel trono appunto ove idee e sistemi la fanno da padroni e di cui non possiamo fare a meno – la ragione a sventolare su petroliere e corazzate, missili aria terra est ovest, imperi di carta straccia e di carta usura contro lavoro, punti esclamativi… dimentichi che Europa venne rapita da Zeus mutatosi in candido toro e che Alessandro con un colpo di spada recise il nodo di Gordio per intraprendere la conquista dell’Impero di Persia e da modesto insegnante in pensione ho a portata di mano il Bignami ove la mia vanità (che appartiene al linguaggio del corpo e si schifa della logica) potrebbe appagarsi con eco e rimandi vari… ma, comunque e nonostante tutto, sempre i versi di Emozioni a vincere il tempo e la prigione dei giorni.
Emozioni. A pranzo da Claudio, nonostante le mie troppe lagne e nessuno schianto. Un frammento di comunità una storia ove le ragioni le idee possono tingersi in più sfumature seguire sentieri, magari interrotti, ma il cuore rimane integro nel suo stupore, nella sua meraviglia. Nerio mi ricorda come era l’inizio dell’autunno del ’60, settembre-ottobre, a sbracciarsi e cantare, mattina di sole, lungo via del Tritone e quella giovinezza un po’ sgangherata e trasognata che ci portiamo dentro, fattasi amara con gli anni ma mai venuta meno. E Sandro lì a Valle Giulia, con la camicia a scacchi e il sangue che gli cola mentre si lancia all’assalto del cielo. Gianpiero così tranquillo, silenzioso. E Claudio che mi porta un gran bene da quando mi accolse, senza chiedere il perché, in giorni fattisi difficili. Emanuele e Massimiliano e Mauro, ciascuno una parola un gesto una prova d’affetto. E il fucile abbandonato perché la guerra è perduta, mio padre dalla finestra con le persiane serrate, nella stanza il mio primo vagito e quella presunzione che, segnato dal destino, toccasse a me, nella mente e nel cuore, idealmente, raccogliere l’arma e battersi per un sì alla “nostra” Europa. “Tu chiamale se vuoi emozioni”…
E, verso sera, confidare come vi debbano essere ancora tante aurore da sorgere per altri cuori ed altre menti legati da un comune destino.
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