Epitaffio per un imbecille

 

Epitaffio per un imbecille

Fin da studente, curioso ed inquieto, fui attratto da un breve scritto, anonimo (virtù della modestia a me cara!), formato volantino e dal titolo Epitaffio per un imbecille. Nel corso degli anni vi sono tornato sovente, con qualche opportuna modifica, in cerca di sempre nuovi bersagli.

Come sparare sulla Croce Rossa. Non mancano falliti e imbecilli quali obiettivi – ‘Il mondo n’è pieno’, osservava aristocratico ed ironico lo scrittore Drieu La Rochelle, trovandoli ‘graziosi’ -. Ultimo un ‘collega’, sempre in giacca e cravatta, di Lotta Comunista, becero e conformista antifascista, che ebbe il suo momento di gloria sulla facciata esterna del liceo in un poster giallo ocra.

 La storia ruotava, gracchiante 78 giri, e si misura intorno al perimetro di filo spinato e baracche ad Auschwitz. Di questo soltanto si curava il laboratorio di storia, a me – ovviamente e rigorosamente – interdetto. Che, poi, le vittime e gli aguzzini dietro il recinto si confondano nel tratto tra verità storiche (ignari della crisi del principio di verità operato da Nietzsche) e sbadigli di noia dietro il banco…                                             

Fin dagli esordi questo Epitaffio volle essere contro quel borghese che si sottace in ciascuno di noi (tanto simile all’animale che mi porto dentro me, a dirla con una vecchia canzone di Franco Battiato) e si maschera di onestà e perbenismo a garanzia di scorrere giorni e anni in alveo tranquillo e protetto (‘Da ragazzo non ha mai rotto un lampione con un sasso né un pregiudizio di sua iniziativa’, ad esempio).

Anonimo in vita e senza alcun rimpianto da morto, noi – concludevo – l’abbiamo saputo lo stesso e bevuto molto alcool sulla sua tomba e giurato, con la solennità grave degli ubriachi, di non finire come lui, preservando gli ideali che ci rendono liberi e i sogni che ci mantengono giovani… Di recente quell’imbecille s’è trasformato, con medesimo accento e intento medesimo, in tutti coloro che ho definito ‘indecenti e servili’.

Attraverso il parametro a me caro di ritenere le emozioni antecedenti la ragione – insomma quello stile che si misura nell’esistenza, messa al servizio dell’Idea, la sola per cui vale la pena vivere e in suo nome donarsi. Un’Idea che nasce e si traduce in azione per non decadere in alibi compromesso saccente vile e patetico intellettualismo.

Azione che si rende tutt’uno Idea, in carne e ossa e sangue. Bastoni e barricate sono premessa e nutrimento del nostro costruire imperi di carta – a bruciare le navi, dando voce ad una conquista senza ritorno e soltanto dopo si dona il Messico ai sovrani di Spagna. Non le parole, il gesto ciò che permane.

Sempre Drieu La Rochelle, in Gilles il suo romanzo più compiuto, nelle pagine ultime, racconta di un pugno di volontari europei che vanno a battersi – e a morire – nella guerra civile spagnola, a fianco di Franco e della Falange. E, descrivendoli, tiene a precisare che non occorre siano degli intellettuali perché altro li rende ‘comunità’, il loro stare insieme pur essendo fra loro degli sconosciuti, il senso del sacrificio fino a quello estremo. La comunità nasce da questa comunione d’intenti, dove sangue e spirito si identificano, le diversità il vissuto di ciascuno la storia personale ignota, pregi ed errori compresi. Non degli imbecilli a cui, forse, non verrà dato dalla storia alcun Epitaffio…

 

 

 

Immagine: www.aclorien.it

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