Facta non verba

 

Facta non verba

E così Fiat titolava il manifesto a lato di Sergio Marchionne, un amen della lotta di classe sull’ex ceo della FIAT Chrysler in “condizioni irreversibili” all’Universitätsspital di Zurigo, “Sergio non tornerà più” scrive E. Agnelli, il nuovo skipper è Mike Manley ad di Fca. 14 anni in sella alla tigre di Torino, diventata di carta, salvata in articulo mortis dal trapasso, fusa oltre oceano con la Daimler Chysler anch’essa in coma profondo, rigenerate entrambe sotto altro nome Fca cambiandogli residenze, fiscale in UK, legale ad Amsterdam. Utile quasi raddoppiato nel 2017 (+ 93%), sofferenze previste nell’area Nafta, salita d’ordini in Europa, 234.000 dipendenti senza contare i grandi numeri dell’indotto, questo lascia l’italo canadese di Chieti. Ultima Assemblea Fiat al Lingotto di Torino il 1 agosto del ’14, poi via baracca e burattini, alla città sabauda uno stabilimento Maserati, una carrozzeria part time, la finanziaria Exor, alla T dell’acronimo FIAT restava un pugno di mosche a 115 anni dalla fondazione. La vendetta non s’arresta neanche davanti ad un polmone artificiale, non per niente siamo figli di Caino anche se gli Agnelli non sono i nipotini di Abele.

 L’architettura mobile per tutti era nata negli U.S.A. con la “famigerata” catena di montaggio della Ford Motor Company produttrice in serie dalla Ford T, costi bassi, larga la platea di mercato. Saranno strumenti e strategia scelti dalla FIAT, inutile citare l’elenco dei modelli “populisti”, accessibili anche ai suoi metalmeccanici che li assemblavano. Pensiamo all’arte secondo schemi scolastici, sgarbati, statiche creazioni di un demiurgo ispirato, ma il secolo breve ce ne ha data una versione futurista, da gustarsi quando sfreccia sui nastri d’asfalto o, ferma, si lascia ammirare, accarezzare come una madonna, “un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Nike di Samotracia” profetizzava Marinetti nel Manifesto del Futurismo del 1909.

 Di questa espressione d’arte, sorella dell’architettura, la Casa torinese è stata regina assai invidiata, potente, saturnina nel divorare le altre figlie delle 4 ruote, ma ha fatto la storia nazionale. Col nuovo millennio la holding FIAT entra in crisi, perde Gianni “il Magnifico” poi suo fratello, entra un nuovo team alla gestione, dall’onnipresente L. C. di Montezemolo a John Elkann, l’ad è Sergio Marchionne ai più sconosciuto. L’azienda danza sul precipizio, ha bisogno d’essere operata d’urgenza dicono) per scongiurare il collasso, taglio dei costi e appendici improduttive, ma anche miglioramento della qualità del lavoro, produzione di nuovi modelli in linea con l’appetito del mercato. Già nel 2005 Fiat lux, ritorna l’utile nei bilanci con trend in crescita costante nei vari settori (Alfa, Lancia, Iveco, ecc…).

 Poi la Goldman Sacs e il fallimento della Lehman Brothers invischiate nei subprime, creano la crisi industriale del 2008, Marchionne crea lì il suo capolavoro, acquista l’intero pacchetto azioni della Daimler Chrysler (terzo colosso dell’auto dello zio Sam) con i dollari del Fondo pensioni dei sindacati americani e solo un terzo con i propri quattrini. Il manegement resta a bocca aperta, FIAT sbarca coi suoi modelli in USA dopo 27 anni, l’Alfa si rilancia correndo sulle free ways, Ferrari e Maserati aprono le casseforti dei Paperoni. Certo ci sono la dissolvenza di Mirafiori, la dismissione di Termini Imerese, la progressiva emarginazione dell’Italia nei programmi di Fca e aggiungerei una Ferrari che vende tanto ma non vince in pista, architettura rossa bella ma balbettante, il cavallino di Baracca purtroppo non vola.

 Neoliberismo selvaggio, mercati globali, brokeraggio dei manager, automazione, l’operaio s’è fatto piccolo, piccolo, sembra una comparsa, un residuo d’altri tempi, ora anche Marchionne s’è fatto piccino secondo la poesia del nobile De Curtis.

 Dare opinioni pelose è un mestiere che non ci appartiene, questione di stile, ci sovvengono invece dei fatti. Il chietino Sergio è figlio d’un maresciallo dell’Arma di stanza in Istria dove conobbe Maria Zuccon sua futura sposa. Durante la guerra la famiglia di lei vive la tragedia delle foibe, il nonno materno Giacomo, viene ucciso nel ‘43 dai titini, precipitato nelle gole carsiche di Terli, Giuseppe, fratello di Maria, in cerca del padre, cadde in un rastrellamento tedesco, scambiato per partigiano, venne fucilato. Con l’occupazione slava dell’Istria papà Concezio e famiglia Zuccon debbono lasciare quelle terre, sono profughi sputati dai compagni nostrani. Vanno a Chieti dove Sergio nasce nel ’52, poi via da migranti verso il Canada per rifarsi una vita. Sergio Marchionne s’è costruito da sé partendo dalla laurea in filosofia, poi tanto studio, lavoro e poche chiacchiere, non è il tipo d’ uomo che si perde in nostalgie da ricchi, è andato per la sua strada senza sforzo, parafrasando l’Amerigo di Guccini.

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