Oggi parliamo di cinema, (anzi, come sempre, “fingiamo” di parlare di cinema), e lo facciamo spoilerando la trama di un film minore, un film di quest’anno, una commedia italiana, prodotta da Rai cinema e Fandango e diretta da Francesco Fanuele, “Il Regno”, fra gli interpreti Max Tortora e Stefano Fresi che interpreta Giacomo, un autista dell’ATAC, la società di trasporti romana, alla morte del padre viene convocato dal suo avvocato, in una vecchia tenuta fuori porta.
Qui scopre che il padre, che lo aveva cacciato di casa molti anni prima, gli ha lasciato in eredità tutti i suoi possedimenti, e che nella sua tenuta di campagna si è costituita una piccola comunità che ripudia qualsiasi modernismo, non riconosce alcuna autorità statale, e vive secondo tradizioni medioevali. Giacomo apprende che il padre si era autoproclamato Re. Nella comunità non si utilizza denaro, ma solo il metodo del baratto e la gente vive in semplicità, rifiutando ogni modernità e sottostando ai desideri del re. Come unico erede maschio Giacomo erediterà la corona, cercando senza riuscirci di aprire al mondo esterno, cosa che inevitabilmente porterà alla fine del Regno.
In un’epoca di globalizzazione e liberismo totalitario, l’idea di una piccola comunità rurale autogestita, e sganciata dal “Politicamente corretto” non è poi così campata in aria, a parte la visione “Monarchica” chiaramente non attualizzabile, potrebbe essere l’unica alternativa alla “Fine della Politica”. Dalle ultime elezioni pare evidente che una via elettorale al cambiamento è attualmente impossibile, la comunità, il borgo, la terra, paiono essere gli ultimi baluardi da difendere. Lo sapevano bene Mino Maccari, Leo Longanesi e Curzio Malaparte, quando nel 1926 in Toscana, nel Valdarno, dettero vita insieme ad altri, ad una corrente fiancheggiatrice del fascismo populista e tradizionalista, antieuropeo ed antiamericano, “Strapaese”, un movimento letterario e culturale caratterizzato dallo spirito patriottico e dalla difesa e valorizzazione del territorio. Obiettivo di Strapaese era la restaurazione di un’Italia rurale, tradizionale, paesana, cattolica (ma non clericale) e patriottica. Strapaese si oppose agli sventramenti degli antichi borghi medievali, criticando spesso anche le direttive ufficiali del fascismo.
E mentre nel 1926 in Italia nasce “Strapaese” a Koppelow in Germania, nell’idilliaca “Svizzera del Meclemburgo”, ribattezzata dai denigratori “Nazi-Toskana” si dà vita ad un esperimento sociale, l’obiettivo era, isolarsi dalla liberale Repubblica di Weimar rendendosi autosufficienti, costruire un’élite völkisch, germanica, e cacciare gli stranieri. L’Idea era nata da Willibald Hentschel a Monaco di Baviera 3 anni prima, con la fondazione della lega degli Artamani. La denominazione si riferiva ad un appello di Willibald Hentschel che, nei quaderni da Niegard del 1923, aveva invocato “Una comunità combattente cavalleresca tedesca su terra tedesca.” Il nome si basava sulle parole antico-(alto-)tedesche “art” (Ackerbau: agricoltura) e “manen” (Maenner: uomini).
Il motto degli Artamani era: “Fedeli serviamo la terra nel grande morire e divenire”. L’associazione contò sino a 2.000 appartenenti. Essi sostenevano una ideologia nazional-popolare (voelkisch), romantico-agreste di “sangue e suolo”, e propagandavano un servizio volontario di lavoro nell’agricoltura. Secondo loro “Artam” significava “il rinnovamento che parte dalle forze originarie del carattere nazionale, dal sangue, dal suolo, dal sole e dalla verità”. Gli Artamani ambivano a vivere nelle provincie orientali tedesche di attività rurali in una comunità il più possibile autarchica e inoltre, in tal modo, volevano formare un bastione contro l’arrivo e l’occupazione di lavoratori stranieri stagionali. Per impedire lo sfruttamento dei latifondisti i membri della Lega versarono i propri salari, all’infuori di quanto realmente necessario alla sopravvivenza, in una cassa comune. Con questo metodo vennero acquistate delle proprietà terriere che furono poi suddivise in singoli poderi di circa 15 ettari. Dopo lo scioglimento e il divieto di tutti i movimenti giovanili imposto nel corso della uniformazione (Gleichschaltung), nel 1934 la “Lega degli Artamani”, unica eccezione, venne corporativamente assorbita nella Hitlerjugend.
Venti anni fa nella “Nazi-Toskana” gli Artamani sono tornati. Huwald Fröhlich, professione tagliaboschi e produttore bio, scrisse varie lettere su “Opposition für Deutschland”, invitando chi non si riconosceva nell’attuale società Tedesca a raggiungerlo nel luogo simbolo dell’avanguardia bruna. Con lui arrivarono il fabbro Jan Krauter, produttore di coltelli e la rilegatrice Irmgard, da questo primo nucleo iniziale dalla metà degli anni ‘90 sono almeno una trentina le famiglie che si sono trasferite nel triangolo Koppelow-Krakow am See-Klaber, su invito di Fröhlich. In Meclemburgo ma anche in Nordreno-Westfalia, Sassonia o nel Baden-Württemberg. Ovunque si sta diffondendo una società parallela, che punta, all’avvento della «libera nazione tedesca del popolo». Ormai sono migliaia i “colonizzatori” in tutto il Paese.
Le famiglie degli insediamenti völkisch ragionano in termini di generazioni, non di mesi o anni. «La loro strategia è andare in luoghi rurali, acquistare terreni, case e fattorie vicine. Da lì cominciare a costruire colonie chiuse e a fare proselitismo tra i vicini. Partecipano alla vita dei villaggi, organizzano feste per bambini, campeggi, punti di consulenza per i disoccupati. Nella visione del mondo Artamana il punto focale è la gioventù, le bambine vengono cresciute per diventare madri (abominio sessista e politicamente scorretto) ed i bambini “uomini-guerrieri”. Se chiedi ad uno di questi bambini cosa vuol fare da grande, risponderà, probabilmente: “Farò ciò che servirà al mio popolo”. All’individualismo viene preferito il senso di comunità. Una vita rurale, sana, comunitaria, che viene descritta dalla stampa di regime chiaramente come chissà quale pericolosa attività sovversiva. E un “abbandonare la politica e la società, per Salvare la Politica e la societa” una via da intraprendere come extrema ratio, dopo il fallimento delle altre possibilità di lotta.
Pochi mesi prima di essere ucciso Pier Paolo Pasolini dava alle stampe una raccolta di versi che riprendeva, a cominciare dal titolo, la sua prima organica raccolta: “La nuova gioventù” Scegliendo questo titolo Pasolini allude esplicitamente a due cose, il suo desiderare una “nuova” giovinezza, e il suo voler parlare ai giovani di una nuova generazione. Sulla copertina della prima edizione Einaudi, viene riprodotta la foto di un Pasolini in abiti militari. Ultima poesia del libro e triste testamento, è la poesia “Saluto ed Augurio”, di cui consiglio la lettura. Pasolini si rivolge ad un allievo, un giovane di destra. Il ragazzo è descritto come un borghese di città (“un fascista giovane”, “alto, con gli occhiali, il vestito grigio, i capelli corti”), uno studente che ama ancora il sapere antico (“il latino, il greco”), quello che i contestatori di sinistra hanno rifiutato. Per questo Pasolini lo sceglie come interlocutore, non può più parlare con i ragazzi di sinistra, non crede più nei marxisti che esibiscono un desiderio di adeguamento ai valori di una nuova epoca, quella che Pasolini aveva ribattezzato, “la nuova preistoria”. Pasolini chiede al ragazzo di non svegliarsi alla “modernità”, di non seguire il presente. Gli insegnamenti donati all’interlocutore sono il concentrato delle idee di Pasolini sulla difesa dei valore della tradizione, qui amplificati, e espressivamente rafforzati da molte espressioni ricalcate su versi dei Cantos di Ezra Pound (un autore che Pasolini assume come nuovo “padre spirituale”). Pasolini consiglia al ragazzo di difendere il passato (i paletti che vengono utilizzati per delimitare i terreni, i casali di campagna, gli Dei dei campi), cioè tutti i valori che appartengono a quel mondo agricolo che ormai non esiste più. Come li deve difendere, il ragazzo di destra? Se non nella realtà, almeno nel sogno, nell’immaginazione, nella volontà di non dimenticarli. Deve fare del suo sogno l’origine di una vera rivoluzione.
Tutto questo, i padri, cioè la generazione precedente, lo hanno cancellato, cercando altre vie, altre soluzioni. Invece. afferma Pasolini, la “Repubblica” (cioè la nuova Polis che dovrebbe sorgere) deve stare “dentro, nel corpo della madre”, della Patria, fatta di piccole patrie. Da questi luoghi deve nascere una nuova idea di comunità, una comunità che non sia più dominata dall’unico ideale del progresso, ma “materna,” cioè comprensiva di tutto quello che il capitalismo tende a lasciar fuori, il “corpo della madre” è la Tradizione. Pasolini ormai completamente disilluso forse senza saperlo era tornato al manifesto di Strapaese, forse è utile iniziare anche noi, a studiare un piano B.