Fenomenologia della decadenza

 

Fenomenologia della decadenza

A chiunque possieda una sensibilità superiore al mero livello della naturalità e della sentimentalità, appare evidente che viviamo in un mondo di rovine: rovine di ogni ordinamento normale e legittimo. Occorre esserne consapevoli, perché se è vero che conoscere il male non significa esserne guariti, pure l’anamnesi della guarigione costituisce un inizio. Anche questa consapevolezza è resa difficile da un apparato sinistramente repressivo, perché subdolo, e da una costante psicopolizia che sorveglia e punisce ogni deviazione dai binari del consentito.

Quelli che si era soliti definire totalitarismi avevano almeno l’onestà di professarsi autoritari e di non nascondere la loro volontà di coordinare le energie umane, volenti o nolenti, verso un determinato fine. La società liberal-capitalista, invece, dichiara di permettere la libera espressione e la diversità di pensiero; il che può anche essere vero, ma solo fino a quando le idee “diverse” si confrontano nella stessa dimensione del politicamente corretto, mentre si demonizza e si ostracizza, fino a costringere a cedere, chi si pone su di un piano di effettiva alterità rispetto al pensiero unico.

Per realizzare il proprio progetto, la società liquida ha generato, come scriveva Evola, un clima di anestesia morale che ha generato un profondo senso di disorientamento che ha portato al cedimento del carattere, al marasma ideologico, alla prevalenza dei più bassi interessi e al vivere alla giornata. Nella neolingua moderna tutto ciò che agli occhi di qualsiasi persona di normale sentire e intendere appare come corruzione e decadenza viene definito come un progresso.

Il dogma del progresso è una delle cifre maggiormente caratterizzanti il mondo in cui viviamo perché esprime, meglio di qualsiasi altro paradigma, il rovesciamento dell’autentico cammino della storia, in quanto accredita come normale e scontato che il superiore possa derivare dall’inferiore.

Lasciando da parte la spiegazione biologistica della decadenza, propria ad esempio di un de Gobineau, che rischia di far impantanare il discorso nell’assurdo razzismo naturalistico, già Platone aveva dimostrato, nel mito di Atlantide, come le antiche civiltà siano decadute da uno stato semidivino. Non sembri strano: ancora i filosofi del Rinascimento sapevano che la natura umana è una natura media, che può innalzarsi verso il superiore come inabissarsi nell’inferiore.

La prima possibilità è stata propria delle epoche solide, dotate di un pensiero forte, capaci di sacrificio e dove i valori e le forze spirituali costituivano l’asse che non vacilla intorno al quale si sviluppava la vita e si formavano le gerarchie. La seconda possibilità è propria delle società liquide, prive di carattere, il cui pensiero debole impedisce ogni prospettiva superiore a quella del dominio del desiderio irresponsabile: la nostra società.

Torna in alto