Fiat voluntas loro


 

Fiat voluntas loro

Torino 11 luglio 1899 a palazzo Lascaris appartenuto a Camillo Benso, conte di Cavour, oggi sede del Consiglio regionale del Piemonte, si riunirono una dozzina di aristocratici ed imprenditori Torinesi, scopo dell’incontro dotare l’Italia di una fabbrica di automobili prodotte industrialmente, come già avveniva nella fabbriche dell’Europa settentrionale. L’idea era venuta agli amici Emanuele Cacherano di Bricherasio e Cesare Goria Gatti che avevano precedentemente costituito e finanziato la “Accomandita Ceirano & C.”. Nacque così la Fiat, acronimo di Fabbrica Italiana Automobili Torino.

Oltre ai due promotori, si mostrarono disposti a partecipare il conte Roberto Biscaretti il marchese Alfonso Ferrero, l’industriale della seta Michele Ceriana, l’avvocato Carlo Racca, Lodovico Scarfiotti, Luigi Damevino e l’industriale della cera Michele Lanza. La costituenda società non era ancora stata ufficializzata che la stampa piemontese già pubblicava la notizia: «(..)si è costituita una società anonima, (..) per la costruzione e il commercio degli automobili. Mandiamo a questa società, la cui opportunità sarà da tutti riconosciuta, i nostri migliori augurii, persuasi che con tale vigore darà (..) impulso allo sviluppo dell’automobilismo italiano.» Il giorno precedente alla costituzione della società, Michele Lanza decise di ritirarsi, la quota azionaria destinata a Lanza venne assunta dal possidente Giovanni Agnelli, coinvolto in extremis dall’ ex commilitone Scarfiotti.

Dopo un primo periodo di difficile sviluppo, segnato da diverse ricapitalizzazioni la proprietà della casa automobilistica viene assunta quasi integralmente da Giovanni Agnelli, che resterà a capo dell’azienda sino al termine della seconda guerra mondiale. Il resto come si dice è Storia, non storia di una azienda, o di una dinastia, è storia Patria, Con il ricatto dei posti di lavoro, nell’arco di oltre un secolo la Fiat ha attinto a miliardi di euro di finanziamenti pubblici, più volte si è minacciato di vendere l’azienda automobilistica di stato a paesi stranieri, negli anni ‘70, mentre nelle fabbriche si insinuava la lotta armata si rischiò la cessione della Fiat alla Citroen. In un volantino del 1971, l’Organizzazione Lotta di Popolo (OLP) denunciava i progetti di fusione Fiat-Citroën come un passaporto per l’ingresso del Partito Comunista italiano nel governo.

Il Muro di Berlino è crollato dopo 48 anni la Citroen riesce nel suo intento. Il gruppo Psa (Peugeot-Citroen-Opel) di cui il governo francese possiede il 13% con una strana manovra di fusione di fatto ingloba la maggiore azienda italiana nel totale silenzio della politica italiana. Il Cda di quello che diventerà il quarto produttore automobilistico al mondo, con 50 miliardi di dollari di fatturato, sarà guidato dall’attuale numero uno di Peugeot, lasciando a John Elkann erede della dinastia Agnelli, il ruolo di rappresentanza di presidente del nuovo soggetto industriale.

Gli uomini del Conte-bis si limitano al ruolo di spettatori, l’opposizione tace, silenzio generale, di fronte alla perdita definitiva del gruppo, già fatto a pezzi nel corso degli anni, con stabilimenti delocalizzati in Polonia, Serbia, Turchia, Brasile, Argentina, India e Cina. Domiciliazioni “emigrate” in Gran Bretagna (sede legale), in Lussemburgo (fiscale). Ed ora, addio anche alla proprietà del marchio, nonostante l’oceano di soldi, agevolazioni, cassa integrazione, versati dai contribuenti italiani per tenere in piedi l’industria torinese. Al silenzio della politica si aggiunge quello di televisioni e giornali.

Secondo il Saggista Gigi Moncalvo, autore di scomodi libri sul potere della maggiore dinastia industriale italiana: «Nessuno oserà contestare l’accordo, visto che il gruppo Fiat spende enormi quantità di denaro, in termini pubblicitari, sui media italiani». Intervenendo nella trasmissione radiofonica “Forme d’Onda”, Moncalvo sottolinea lo squallore della situazione italiana, di fronte allo “scippo” francese propiziato da «rabbini e grembiulini vicini a John Elkann». Psa sta sostanzialmente comprando Fca, i francesi hanno pagato «un buon premio» agli Elkann e si sono assicurati la “maggioranza” per il controllo del nuovo gruppo. Che fine faranno in tempi medio lunghi gli operai degli stabilimenti di Cassino, Melfi e Pomigliano d’Arco. Negli ultimi anni la Fiat ha chiuso Termini Imerese e Rivalta, senza contare l’Alfa Romeo di Arese. Il gruppo oggi avrebbe 130.000 dipendenti, in 119 stabilimenti distribuiti nel mondo. Drammatico, negli ultimi anni, il crollo dei livelli occupazionali italiani. Negli anni ’60 Mirafiori dava lavoro a 65.000 operai. Oggi, le poche migliaia di addetti rimasti si limitano all’unica linea attiva, quella della Maserati. La famiglia Elkann sembra volersene lavare le mani. D’ora in poi a dettare legge saranno i francesi, ed addio al made in Italy nel settore auto, simbolo per mezzo secolo della capacità industriale italiana.

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