Sabato 24 aprile 2021, Roma, Circo Massimo: un autonominatosi “Fronte del dissenso” chiama in piazza tutti i movimenti, associazioni, e cittadini in difesa delle libertà costituzionali e dei diritti umani calpestati da un regime al servizio, dei poteri finanziari transnazionali, che ha utilizzato la cosiddetta “pandemia” come accelerante per processi disgregativi già in “scaletta”.
Il Covid 19 ha fatto sì che determinate strategie, verosimilmente spalmabili in decenni, siano state concretizzate in poco più di un anno. La manifestazione di “piazza” è stata auspicata perché tutti sentiamo la necessità di una grande manifestazione in contrapposizione al disegno del Great Reset voluto da Draghi e i suoi amici; una, cento, mille piazze riunite per dire no ad una società tecnocratica e liberista. Fra i punti su cui convogliare l’azione politica ci sono la fine dello stato d’emergenza, libertà di scelta terapeutica, rifiuto del passaporto sanitario, riapertura delle scuole e di tutte le attività imprenditoriali, indennizzi adeguati alle categorie colpite dal lockdown, difesa della libertà di informazione.
Tutti temi condivisibili, ma noi abbiamo optato per non impegnarci direttamente. Il motivo non è la condivisione o meno dei punti in questione, ma la mancanza di un elaborato politico che stia dietro questi punti. Già dal nome e dalla data scelta sono iniziati i vari distinguo: la manifestazione è stata chiamata “Marcia della liberazione”, inneggiando a quel 25 aprile di 76 anni orsono, data divisiva per eccellenza, che vede festeggiare la “liberazione” dalle truppe di occupazione germaniche, e l’occupazione delle truppe statunitensi, con il proprio carico di stupri, morti e violenze, truppe che sono ancora qui, e che dovrebbero essere considerate se non artefici, almeno chiamate in correo, per l’attuazione dei disegni politici di cui sopra.
In Piazza a Roma c’erano oltre 50 gruppi fra partiti, associazioni culturali ed associazioni di categoria, 50 “movimenti” per circa 500 persone sotto il palco dove si sono succeduti i vari interventi, che, con le dovute eccezioni, hanno di fatto fotografato la natura “partigiana” della manifestazione; un termine usato, questo, non per il proprio significato storico, ma per quello etimologico di partigiano = di parte, tant’è che ognuno parlava e si mostrava per la propria comunità di appartenenza e per i propri interessi di parte. Una domanda sorge spontanea: una volta che ogni parte ottenesse quello che rivendica, sarebbe ancora disponibile alla piazza? Onore delle armi agli organizzatori ed ai partecipanti, in assoluta buona fede, ma una piazza non può essere inizio di un “Fronte del dissenso”, essa deve esserne la fine, l’urlo finale di un popolo che prima ha studiato una strategia politica, si è conosciuto, confrontato, anche scontrato, e che condivide una visione di insieme, perché solo un’unione delle parti può aspirare ad una legittimazione da parte delle masse che in anni passati definivamo “maggioranza silenziosa”.
Il circo massimo di Roma e le 100 piazze “disorganizzate” italiane si sono riempite di persone per arrivare ad un autentico moto rivoluzionario, ma sono mancate due cose: la politica nell’accezione nobile del termine, ed i giovani. Nessun cambiamento potrà esistere senza l’apporto di quelle generazioni a cui tale cambiamento dovrebbe giovare, lavoriamo tutti insieme su questi punti, e poi torniamo in piazza, ma non per sventolare ognuno la propria bandiera, e tornare all’indomani nella propria casa prigione a coltivare i propri interessi, ma per restarci, finché la battaglia non sia combattuta come lotta di popolo, a quel punto vincere o perdere diventa ininfluente.