La cronaca raramente stempera l’atmosfera gotica da dies irae incombente sul mondo, è il pomeriggio del 29 maggio scorso, Monna Lisa, residente al Louvre, stanza 711, après le dernière maquillage, se ne stava lì seduta, rilassata, icona vanitosa del voyerisme di turisti magnetizzati dalla sua fama orbitale e all’improvviso…Splash! Le arriva una torta di panna addosso, sembrava una gag comica da vecchio cinema muto.
Lei non s’è scomposta affatto, un solerte maggiordomo è corso a ripulirle il vetro, in un battito il suo vestito riappariva, quel sorriso ammiccante non scadeva nella risata e tanto meno si trasformava in un: Oibò! Non ha assaggiato golosa quella panna anzi par ci dicesse: ce ne pas la première fois, c’est la vie, donc ҫa va riprendendo composta a posare per gli scatti virali dei smartphone, ah, che peccato non si potesse fare un selfie col ritratto più celebre al mondo con la panna.
Ma chi è stato? Mah, un giovanotto in cerca dei suoi 15’ di celebrità, commenterebbe Warhol, ora ritornerà nel nulla della massa; travestito da donna, fingendosi disabile carrozzato, quatto, quatto s’è avvicinato al mito, ratto alzatosi di scatto l’ha centrato ma non in faccia bensì sull’elegante abito fiorentino, il suo commento al gesto? Parole non sense, d’ispirazione ecologista, un passepartout per cavarsela a buon mercato.
E Monna Lisa non gradisce neppure il tè, una signora russa, più che porgerle con bon ton una tazza dell’infuso orientale chiedendole: quanto zucchero? Vuole il limone? Gliela tirò barbaramente in faccia, meschina, raccolti gli inutili cocci per la caucasica furono manette, forse voleva che la Lisa mettesse una parolina buona con le autorità francesi per farle ottenere la cittadinanza transalpina.
Se sei la Gioconda ti tirano anche le pietre parafrasando il brano Antoine-Gian Pieretti o peggio provano a sfigurarti il volto con l’acido, roba da malavita, ma la signora Lisa Gherardini in Del Giocondo se l’è sempre cavata rimettendosi in posa tranne che in quel lontano 1911, galeotto fu l’amor di Patria tra lei e il dumentino Vincenzo Pietro Peruggia (1881-1925) di professione imbianchino. Era emigrato alla Ville lumière nel 1907 in cerca di lavoro, famiglia proletaria quella del padre, cinque figli da mantenere con la cazzuola da muratore, la Francia nel destino di Vincenzo già a 16 anni col babbo in quel di Lione a sbarcare il lunario imparando il mestiere delle vernici.
Il 23 agosto 1911 il quotidiano Le Petit Parisienne sparava in prima pagina: Le célèbre tableau de Léonard de Vinci, La Joconde, a disparu du Musée du Louvre, Comment? Depuis quand? On ne sait pas. E a corredo l’immagine della ricercata.
Cos’era successo? Verso le sette del 21 agosto Vincenzo era entrato al Louvre, ci lavorava per la ditta Gobier in qualità di decoratore, era un lunedì, Museo chiuso ai visitatori non agli operai. Salì al I piano, entrò nel Salon Carré dov’era esposto il dipinto di Leonardo, lo staccò dalla parete, tolse vetro e cornice ed avvoltolo nella sua giacca uscì da una porta secondaria poi giù in un cortile interno deserto e da lì scese in strada col quadro sotto braccio prendendo con non chalance un autobus, sbagliato però per destinazione, così scese in fretta, prese quello giusto raggiungendo rue de l’Hopital Saint-Louis dove condivideva una stanza col cugino. Nascosta la tela se ne tornò al suo posto di lavoro al Louvre, era in forte ritardo, si giustificò per una sbornia tra amici presa la sera prima, i fumi di vino l’ avevano abbioccato.
Monna Lisa gli restò accanto, fedele, per oltre due anni, lei cittadina francese dal 1517 per compravendita regale, ma pur sempre di sangue italiano, lui un rital emigrato coll’amor patrio bollente, da innamorato l’accudì con dedizione ché l’umidità non le guastasse quel sorriso, c’era tra loro una connivenza sottile, l’amore per l’Italia depredata da quel “piccolo caporale” corso di nome Napoleone Bonaparte. Tener nascosta la propria amante per tutto quel tempo era stato difficile ma n’era valsa la pena, però ora a Firenze nasceva l’occasione per riportare Monna Lisa nella sua città natia, un noto gallerista cercava opere in prestito per le sue sale, Vincenzo cadde in tentazione sperando anche di ricavarne un gruzzoletto e scese giù nella città dell’Arno con Lisa sotto braccio.
Tapino! Il 12 dicembre 1913 fu arrestato, l’anno seguente processato, finì ai ceppi con buoni sconto di pena, la Signora Gherardini, suo malgrado, se ne tornò a Parigi per riprendere il suo posto, chissà se quel sorriso non sia, da quel 1911, per lui, povero “Pietro”, soldato sfortunato a Caporetto, prigioniero degli austriaci, fece infine ritorno in quella Francia considerata “ladrona”, a torto o a ragione, chi se ne frega, per il suo amor patrio ridateci le spoglie di Vincenzo e tenetevi pure Monna Lisa tutta panna!