Giorgia e le donne

 

Giorgia e le donne

Alain Touraine, Sociologo francese (Hermanville-sur-Mer 1925) direttore de “l’École des Hautes Etudes en Sciences Sociales”, massimo esperto di sociologia industriale ed in particolare dei livelli di coscienza della classe operaia, ha coordinato un gruppo di ricercatori internazionali per indagare sullo status delle donne di oggi nel mondo globalizzato. Il team ha posto diversi interrogativi a un gruppo di donne di varia estrazione sociale (prevalentemente occidentali), ottenendone l’unanime risposta: «Io sono una donna, io costruisco me stessa in quanto donna attraverso la mia sessualità».

Facendo leva sul loro appello alla specificità sessuale come punto di partenza del processo di costruzione di sé, Touraine individua nelle donne le protagoniste della rivoluzione culturale dominata dal «soggetto», in quanto più propense all’omologazione ed al superamento di concetti patriarcali, come ad esempio quello della Patria. Il motto novecentesco caro alla destra nostrana del “Dio,Patria e Famiglia”, pur se non storpiato come nei manifesti della Cirinnà, resta obsoleto per la maggioranza delle donne impegnatesi in Politica. Paolo Berizzi solerte giornalaio di Repubblica, nell’attuale campagna di denigrazione dell’unica leader donna di un partito politico Italiano Giorgia Meloni, dipinge FDI come un movimento dove ancora vigerebbe il maschilismo. Michela Murgia, la coniatrice del termine “Matria” arriva con contorti ragionamenti persino la mettere in dubbio l’appartenenza di genere della Meloni dipinta come nemica delle donne. Avendo frequentato per tutta una vita quell’area politica non mi riconosco in quella visione, a destra le donne seppur in numero minore rispetto ai partiti di sinistra hanno sempre avuto un ruolo tutt’altro che marginale. Su una cosa però sono parzialmente d’accordo con questa lettura, Giorgia Meloni in questa campagna elettorale ha parlato poco di donne, invece tutti noi ci aspettavamo di sentire dalle sue labbra, riferimenti a due giovani donne, loro malgrado balzate agli onori (ed orrori) della cronaca.

La prima è Darya Aleksandrovna Dugina, giornalista, filosofa ed attivista russa, figlia del più noto Alexandr Dugin e della sua seconda moglie, la filosofa Natalya Melentyeva, fatta saltare in aria sulla sua auto in un attentato terroristico davanti agli occhi del padre nella notte del 20 agosto. Darya, 30 anni non ancora compiuti ha sacrificato la sua giovane vita per quell’ideale di “Dio Patria Famiglia” abiurato dall’occidente, e da un’area che storicamente se ne era assunta la difesa. Darya mentre studiava all’ università statale di Mosca era stata stagista presso l’ università di “Bordeaux Montaigne”, specializzandosi in filosofia della Grecia antica, con ​​una laurea sulla filosofia politica del tardo neoplatonismo. Dopo l’università, ha lavorato come giornalista, scrivendo per RT e per il canale Tsargrad. Dal 2014 subito dopo i bombardamenti ucraini nelle repubbliche separatiste del Dombass ha visitato più volte quella martoriata regione. Per la sua opera giornalistica e culturale, e per la sua discendenza, è stata inserita, al pari del padre, dal dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti nella “Specially Designated Nationals and Blocked Persons List” il 3 marzo 2022 e subito dopo in una lista simile redatta dal governo britannico. La sua morte è avvenuta mentre rientrava dall’annuale festa della “Tradizione” (quella “Tradizione” teoricamente bagaglio delle idee di Fratelli d’Italia). Una giovane vita spezzata probabilmente per caso (la bomba pare fosse destinata al padre), che ha scosso le coscienze da tutto il mondo. Messaggi di cordoglio alla famiglia sono arrivati da capi di stato dal patriarca ortodosso Kirill, e persino da Papa Bergoglio, che per questo semplice atto umano, è stato attaccato da tutta la stampa occidentale. (L’Ucraina è arrivata persino a convocare il nunzio apostolico per protestare contro le frasi di circostanza del Papa). Da parte di Giorgia Meloni e dei suoi sodali di partito e di coalizione, nemmeno una parola, eppure sia Fratelli d’Italia che la Lega, conoscevano bene se non Darya, almeno il padre, l’ultimo tour Italiano di Alexandr Dugin ha visto come coorganizzatori e partecipanti molti esponenti di spicco della Lega Nord. La prima regione in Europa a riconoscere la Crimea come parte della Russia, fu il Veneto a trazione leghista. Il primo “consolato” dei separatisti filo-russi in Europa fu aperto nel dicembre 2016 a Torino su iniziativa del consigliere regionale di Fratelli d’Italia Maurizio Marrone. Tutto questo prima della pandemia, di Salvini nel governo Draghi e della Giorgia nazionale membro dell’ Aspen Italia a condividere il desco con Giulio Tremonti, Giuliano Amato, Lucia Annunziata, Franco Frattini, Gianni Letta, Paolo Mieli, e Marco Tronchetti Provera. Prima della sua nomina a Presidenta(e) del Partito dei conservatori e riformisti europei e dell’abiura di ogni connotato valoriale.

L’altra giovane donna di cui Giorgia non parla si chiama Julia Bravo, ventenne statunitense aviere di stanza nella base Usaf di Aviano, che nella stessa notte di sabato 20 agosto, completamente ubriaca ha travolto ed ucciso presso il comune di Porcia. il quindicenne di Pordenone Giovanni Zanier, L’alcoltest praticato alla militare subito dopo l’incidente ha rivelato un tasso alcolico nel sangue di 2,09 grammi per litro, 4 volte il limite consentito. All’opposto di Darya, fiera figlia della tradizione, Julia è figlia del suo tempo, e del suo paese, paese che ci occupa militarmente da oltre 70 anni e che grazie alle clausole di resa del secondo conflitto mondiale gode di ingiudicabilità per i propri cittadini per reati commessi nella colonia Italia. Nella storia giurisdizionale del ns. Paese verso cittadini statunitensi, i militari americani sono rimasti sempre impuniti, pensiamo a casi come quello della strage del Cernis, quando i militari sono stati fatti rientrare in Usa prima ancora che iniziasse il processo, oppure al famoso e misterioso caso di Amanda Knox. Il delicato corso giuridico per sapere chi giudicherà Giulia Bravo è ancora in corso, nel più completo silenzio del centrodestra. In una recente intervista allo “Spector” tesa a sfatare alcuni presunti miti sulla sua figura, Meloni ha parlato di donne, Marine le Pen e Margaret Thatcher, ammettendo candidamente di ispirare la sua politica a quella della seconda, di sentirsi più vicina alla tradizione liberal-conservatrice anglosassone, in pratica tradizione sempre combattuta dal Fascismo prima e da una buona fetta del movimento Sociale e tutte le altre forze extraparlamentari di “destra” italiane poi.

Giorgia non Parla di Darya, per mero calcolo politico per mostrarsi più realista del re, e sperare in un beneplacito al governo del paese da parte dell’apparato statunitense. Non parla di Julia, per non disturbare il padrone, e si smarca da Marine, per spengere l’ultima fiammella, quella che Giorgio Almirante aveva donato al padre di Marine, e che la senatrice Segre (il cui marito era stato candidato nel M.S.I.) ha chiesto di togliere per l’ultima e definitiva trasformazione della destra italiana, in una appendice stracciona del partito repubblicano statunitense. “Non tutte le stelle hanno le strisce” cantava Mino de Martino in un vecchio brano scritto con Franco Battiato nell’Album “Alla Periferia dell’impero” del1984. La leader della destra italiana si schiera definitivamente, con la parte destinata a perdere. “L’Europa è il campo di battaglia fra due immagini del mondo, fra l’uomo e il nulla” (o la donna e il nulla, per par conditio), è l’ultima epigrafe che Daria Dugina lascia a chi persegue l’idea di un mondo multipolare, sognato da tanti italiani ispirati ad una “concezione spirituale della vita” (incipit dello statuto del M.S.I.), avidi lettori come lei dei testi di Carlo Terraciano, Julius Evola, Renè Guenon, Alain de Benoist e Jean Thiriart, testi presenti in tutte le sezioni del M.S.I. (poi A.N.), testi che la Giorgia nazionale non ha sicuramente letto.

 

Immagine: https://www.ilfattoquotidiano.it/

Torna in alto